Editoriale di Tina Rossi: John Travolta, sala stampa e Geolier: le verità si nascondono nel regolamento
La costante del Festival di Sanremo è che non ce n’è mai stato uno senza polemiche. Dai playback di Bobby Solo, alle liti tra Claudio Villa e Modugno, passando per tutti i fiumi di parole che debordano dalla carta stampata, ogni anno sembra che più che individuare la canzone italiana, bandiera internazionale della nostra musica nel mondo, si cerchi ad ogni costo l’onta oltraggiosa e lo scandalo disdicevole da dare in pasto agli assetati di gossip.
Da qualche decennio, poi, ci si mettono anche le reti concorrenti a cercare di imbrattare in ogni modo la facciata dell’Ariston e di spogliarla di quella aristocratica corona che detiene saldamente in fatto di popolarità e share.
Se poi ci aggiungiamo la consolidata attitudine sociale di lasciarsi abbandonare tra le braccia di Crono (per i meno esperti di mitologia, quel titano che mangiava i suoi figli appena nati, magistralmente raffigurato da Goya), ecco che l’interesse si concentra sulle polemiche, il lato B di un disco che ormai salta sotto la puntina.
Vengo al dunque: lo scandalo sneakers di John Travolta e del Napoletan sound di Geolier, passando per la tanta vituperata sala stampa.
El purtava i scarp del tennis
Facile le critiche, meno facili i complimenti, perchè, si sa, l’essere umano è attirato ineluttabilmente dalle correnti negative, dal macabro e perverso gusto dello scandalo.
E allora ecco che il post Sanremo si trasforma in una polemica sterile suscitata dalle scarpe da tennis di Tony Manero.
Un buchino nel tubo dell’acqua che apre un altro buchino che ne apre un altro finchè le mani non bastano più per contenere l’emoragia di cazzate che vanno a inquinare la riuscita di una serata che invece andrebbe ricordata con i kleenex affianco per la sentita e toccante performance e del messaggio positivo del Maestro Allevi.
Ma la gente, piuttosto che pensare a quanto l’amore possa guarire i cuori, pensa a quanto l’odio possa uccidere l’audience.
E allora parliamone di queste scarpe da tennis: John Travolta era straordinariamente, meravigliosalmente catching con quel look urban-classic e, sinceramente, veder muovere quelle natiche è sempre un piacere per gli occhi. Con o senza scarpe. Meno sexy Amadeus, ma so che non si offenderà.
Striscia, don’t warry e be happy.
“I’ p’ me tu p’ te”
Qualche tiktoker da strapazzo che millanta di essere pure giornalista, dalla sala stampa pensa di catturare visualizzazioni e popolarità filmando un momento di spontaneneità di una ingenua (e inesperta) pseudo giornalista che si lascia andare a commenti personali. La donna esprime in maniera un pò troppo colorata e aperta la sua opinione sul pezzo di Geolier e dichiara il suo voto.
Non si fa? E’ vero, visto che fa parte della giuria ed è in un contesto pubblico, dove rappresenta un organo giurato e votante. Che ne risponda personalmente.
E’ brutto? Si, soprattutto per chi, come me, ha avuto l’onore di avere un pass per quella sala stampa e l’onere di votare. Ma se un idraulico sbaglia un intervento e combina un disastro, non vuol dire che tutti gli idraulici siano incompententi.
Ad oggi, è avvilente vedere e sentire certe critiche allargate a tutta la categoria, facendo di ogni erba un fascio, e lo dico da giornalista e da editore.
Striscia, cascherebbe a pennello dire “I’ p’ me tu p’ te“.
Ma ora vediamo di mettere una pietra tombale anche sul caso Geolier.
Innanzitutto, bisogna distinguere la canzone in gara dalla canzone della serata cover. C’è differenza? Si. Lo dice il regolamento.
Come ha già fatto il nostro direttore Lele Boccardo, vi riporto un estratto del regolamento:


Tutto il resto è noia
La regola vale per le canzoni in gara. La serata cover è sdoganata da qualsiasi restrizione, tant’è che sono stati diversi i brani in inglese (Bigmama, Il Volo, Gaia e Santi Francesi), ma nesssuno si lamenta. Geolier canta in napoletano e scoppia il finimondo.
La polemica viene forzatamente e stucchevolmente legata ad un contesto di campanilismo puramente italiano che vede Geolier nell’occhio del ciclone, con la maxima culpa d’aver cantato il brano in gara con inflessione dialettale.
Eh si, signore e signori. In-fles-sio-ne.
Avete mai sentito un napoletano concludere un discorso senza mettersi in tasca qualche vocale finale? Io mai. Ed è proprio questo il bello di essere napoletano: avere una carta d’identità in bocca e non lasciarla mai. L’accento napoletano è musica di suo. Nasce così e non si può e non si deve cambiare.
“Non si capiscono le parole…“, ma perchè voi capite quando canta Madame senza andare alla pagina 777 del Televideo?
Il testo non era “integralmente in napoletano“, come citano alcune fonti. La cosa può tornare (s)comoda (volendo ad entrambi le parti, vittime e carnefici) per rispolvere il trito e ritrito ritornello sul nord e il sud, o a seconda della geolocalizzazione, sul sud e il nord, ma mettetevi un paio di cuffie e riascoltate l’esibizione sanremese: mancano le vocali finali, tipico di chi arriva da Napoli, tre frasi sono in napoletano, compreso il testo, ma la lingua è italiana, cantata con accento-inflessione-trasporto-passione (e tutto quello che volete aggiungere) napoletano/a/i/e/u.
Le cinque schede dei cellulari per le votazioni? Probabilmente sono quelle del tipo della tuta gold, quello là…l’amico di Mahmood… #fatevenarisataognitanto
Il caso Geolier non è un caso Geolier, e qui chiudo perchè davvero, tutto il resto, è noia.
Foto di copertina creata con IA Bing
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