Il centocchio, dal fiore a stella, antica verdura di campo

Il centocchio, un’erba infestante dai petali biforcuti

Il centocchio è un’erba a ciclo biennale, comunissima in tutta Europa e nel mondo, che appartiene alla famiglia delle Cariofillacee. Anzi, è talmente comune che prolifera ovunque, anche in mezzo ai campi coltivati, e per questo motivo viene considerata una pianta infestante. Del resto, impoverisce i terreni perché sottrae a essi molto azoto. I suoi fiori sono abbondanti e sembrano occhi dalle lunghe ciglia: da qui il nome volgare di centocchio. Ma si chiama anche gallinella o erba paperina, perché ne vanno ghiotti gli uccelli in genere, specialmente quelli da cortile.

un cespuglio fiorito di centocchio firi molto piccoli e bianchissimi

Il suo nome latino, che fa riferimento alla forma del fiore che ricorda un astro, è al contrario assai più poetico: Stellaria media VILL. Ha una sottile radice a fittone e un fusto cilindrico, sdraiato, strisciante, pur con i rami ascendenti, lungo sino a una quarantina di centimetri. Caratteristica di tale fusto, che è carnoso e succoso, è un’unica fila di peli biancastri rivolti verso il basso. Essi hanno la funzione di catturare le gocce d’acqua o di rugiada e di condurle velocemente alle foglie, che l’assorbono in parte. L’acqua restante, non utilizzata, prosegue lungo la linea dei peli verso altre foglie. Ciò è possibile perché le foglie stesse sono disposte a coppia, l’una opposta all’altra, a distanza regolare sui rami. Hanno forma ovata e appuntita, con margine intero.

foglie di centcchio che sbucano da u terreno

I fiori sbocciano da febbraio a inizio novembre: sono in pratica assenti solo nel periodo più rigido dell’anno. Sono ingannatori: sembrano infatti composti da 10 petali bianchi. In realtà i petali sono solo 5, ma sono così profondamente incisi da creare 10 punte ben distinte. In termine tecnico, sono bilobati ma, osservandoli bene, ci appaiono biforcuti come la lingua di un serpente.

I semi sono numerosissimi: per questo il centocchio è una pianta infestante, perché è molto prolifico e attecchisce ovunque. Sono bruni, piatti e reniformi e hanno la capacità di germinare addirittura dopo svariati decenni.

primo piano macro di fiore di centocchio con i petali ben evidenziati in fondo verde

Erba da polli e da zuppe

Come già anticipato, agli uccelli, compresi quelli d’allevamento, come galline, anatra, oche e colombi, il centocchio piace molto. Ne mangiano con avidità i giovani getti e i semi. Questa predilezione è sottolineata anche dal suo nome inglese, ossia chickweed, e da quello francese, che è mouron des oiseaux.

Ma, in passato, ha goduto pure d’ottima fama come verdura che i nostri antenati proponevano nelle loro ricette. Il suo gusto ricorda infatti quello degli spinaci o delle bietole, cui unisce la peculiarità di essere tenero e adatto a una breve cottura. Era impiegato nella preparazione di zuppe e minestre, di frittate, di contorni cotti e, a crudo, per insaporire le patate o per condimenti simili al pesto.

piccoli canestrini con dentro verdure di centocchio

La diffidenza irlandese verso una pianta chiamata An Fhliodh

Se in tutta Europa, nei secoli passati, il centocchio si mangiava quotidianamente, quest’abitudine era estranea all’Irlanda. I suoi petali bifidi creavano diffidenza tra i contadini: secondo tradizione, erano state le unghie di uno spirito maligno a dividerli in due sino alla base. Anche alle galline veniva proibito, perché si temeva che deponessero poi uova stregate.

Le cose cambiarono, purtroppo, con la Grande Carestia (An Gorta Mór, in gaelico). Allora, dal 1845 al 1851, i raccolti delle patate furono attaccati dal fungo della peronospora e andarono perduti. La patata era l’alimento base per la popolazione irlandese, perché tutto il grano prodotto nell’Isola di Smeraldo era destinato al mercato britannico. Ci fu un milione di morti in quegli anni, provocato dalla mancanza di cibo e da una conseguente epidemia di tifo. E milioni di irlandesi emigrarono, soprattutto verso gli Stati Uniti d’America. Coloro che rimasero mangiavano qualunque erba offrissero i prati e si cominciò a consumare anche il centocchio, pur di sopravvivere. È assai diffuso in ogni contea d’Irlanda e prende il nome gaelico di An Fhliodh.

piccoli fiorellini bianchi in un prato primaverile verd smeraldo

Un tardivo uso fitoterapico

Il centocchio non è erba medicinale di tradizione antica. Nel Medioevo aveva un posto di riguardo sulla tavola, ma non se ne apprezzavano le proprietà terapeutiche. Il primo a proporlo come droga medicinale fu l’abate tedesco Sebastian Kneipp, nel XIX secolo. Non si tratta di un medico fitoterapeuta ma dell’inventore dell’idroterapia. Eppure notò che in questa pianta ci potessero essere virtù nascoste, di supporto alla sua cura antitubercolotica (mai riconosciuta dalla medicina ufficiale). In effetti, il centocchio contiene quali principi attivi diversi minerali (magnesio, silicio, calcio, ferro, fosforo…), vitamina C, mucillagini, tannini, saponine e rutina.

piccoli fiori e piantnine di centocchio dentro terriccio

La droga è costituita dall’intera pianta in fiore e giova come tonico, diuretico, balsamico e antiinfiammatorio. Aiuta pertanto le cure in corso, quando si soffre di affaticamento generale, di emorroidi e di affezioni polmonari, nella convalescenza e nelle infezioni di reni e vescica. In uso esterno, il succo da pianta fresca o il decotto applicato in garze migliora la situazione delle pelli acneiche o soggette a couperose. Lenisce pure le dermatosi (eczemi) e la psoriasi.

Il decotto si prepara ponendo in mezzo litro d’acqua fredda due cucchiai rasi di centocchio. Si fa bollire per alcuni minuti, si lascia in infusione per un quarto d’ora, si filtra e si dolcifica a piacere. Si beve lungo la giornata come se fosse un tè. Con l’avvertenza tuttavia, di non esagerare: questa pianta, infatti, contiene saponine. È quindi consigliato un uso moderato, sia come ortaggio, nelle preparazioni alimentari (specialmente se mangiato crudo), sia quando si beve come tè. È un’erba buona, che fa bene, ma è meglio cotta e a piccole dosi. Gli irlandesi, con la loro diffidenza verso i suoi petali biforcuti come la lingua di una serpe, questa volta ci avevano azzeccato…

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Maura Maffei
Maura Maffei
Maura Maffei è da trent’anni autrice di romanzi storici ambientati in Irlanda, con 17 pubblicazioni all’attivo, in Italia e all’estero: è tra i pochi autori italiani a essere tradotti in gaelico d’Irlanda (“An Fealltóir”, Coisceim, Dublino, 1999). Ha vinto numerosi premi a livello nazionale e internazionale, tra i quali ci tiene a ricordare il primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale San Domenichino – Città di Massa, con il romanzo “La Sinfonia del Vento” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2017) e il primo premio Sezione Romanzo Storico al Rotary Bormio Contea2019, con il romanzo “Quel che abisso tace” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2019). È a sua volta attualmente membro della Giuria del Premio Letterario “Lorenzo Alessandri”. Il suo romanzo più recente è “Quel che onda divide” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza 2022) che, come il precedente “Quel che abisso tace”, narra ai lettori il dramma degli emigrati italiani nel Regno Unito, dopo la dichiarazione di Mussolini alla Gran Bretagna, e in particolare l’affondamento dell’Arandora Star, avvenuto il 2 luglio 1940, al largo delle coste irlandesi. In questa tragedia morirono da innocenti 446 nostri connazionali internati civili che, purtroppo, a distanza di più di ottant’anni, non sono ancora menzionati sui libri di storia. Ha frequentato il corso di Erboristeria presso la Facoltà di Farmacia di Urbino, conseguendo la massima votazione e la lode. È anche soprano lirico, con un diploma di compimento in Conservatorio. Ama dipingere, ha una vasta collezione di giochi di società e un’altrettanto vasta cineteca. È appassionata di vecchi film di Hollywood, quelli che si giravano tra gli Anni Trenta e gli Anni Sessanta del secolo scorso. Tra i registi di allora, adora Hawks, Leisen e Capra. Mette sempre la famiglia al primo posto, moglie di Paolo dal 1994 e madre di Maria Eloisa.