Messiah, la serie TV Netflix: sacra o profana? Se tornasse lo riconosceremmo?

Messiah, la serie TV in onda su Netflix ha sollevato molte critiche, al punto da mettere in dubbio la seconda stagione. Perchè?

Uno strano personaggio parla alle folle, le ammalia, le convince a seguirlo nel deserto. Li conduce ai piedi del bi ṭahon, la recinzione di separazione che divide lo stato di Israele dagli altri territori. Cosa starà preparando? Un’invasione? Tenterà di condurre il suo seguito di fedeli alla rivolta? Ma soprattutto, chi è?

Parla in nome di Dio, si esprime per metafore e parabole, compie miracoli e persino il suo aspetto fisico ricorda quell’uomo che circa duemila anni fa era chiamato Figlio di Dio.

E come fa a scomparire e a riapparire nel bel mezzo di un tornado in Texas? E’ davvero il nuovo Messiah o solo un impostore?

Se tornasse, lo riconosceremmo?

Alla fine è questo il dubbio volutamente insinuato dalla serie TV che impera su Netflix. Dall’immaginazione di Michael Petroni, una fiction che fa riflettere. Un thriller politico-religioso prodotto da Mark Burnett, Roma Downey, Andrew Deane e James McTeigue.

Le dieci puntate sono un percorso psicologico e religioso che lasciano ampio spazio a riflessioni e immaginazione. Un Messia al giorno d’oggi che effetto avrebbe sulle masse? Come si comporterebbe la politica di fronte a una dichiarazione di pace che arriva direttamente da Dio?

Un mondo fatto di social che da la possibilità a chiunque di esprimersi e quindi di influenzare il pensiero. Ma soprattutto vivamo un mondo dove gli equilibri religiosi sono così delicati e spostare l’ago della della bilancia potrebbe avere conseguenze davvero sconvolgenti. Siamo pronti per una nuova venuta o sarebbe un evento che metterebbe in crisi tutto il sistema?

In buona sostanza, saremmo in grado di riconoscere l’essenza di Dio fatta uomo o lo crocifiggeremmo di nuovo?

Messiah, la nuova stagione

Una serie che ha diviso in due l’opinione pubblica e la stampa, che ha massacrato con recensioni, a parere di chi scrive, ingiuste. ovviamente, la produzione e la messa in onda di una serie TV è un’operazione commerciale costosa e il suo seguito dipende esclusivamente dal riscontro di pubblico. Ma la decisione di dare un seguito o meno ad una stagione “pilota” dipende soprattutto dalla critica.

Purtroppo la serie non ha convinto gli affamati di critica e ne è emerso che la trama non convince abbastanza. Non è incisiva, non è “catching” e che il personaggio centrale, interpretato da Mehdi Dehbi, a quanto pare, non “morde” e non raggiunge lo scopo di sollevare quei dubbi che dovrebbero stare alla base della narrazione. Personalmente non sono affatto d’accordo.

La storia è avvincente, misteriosa al punto giusto e il protagonista coglie nel segno. Il linguaggio non verbale, basato su sguardi e comportamenti è efficace e diretto. Inoltre, ho trovato geniale lasciare che alcuni dialoghi fossero in lingua araba, cosa che ha reso più coinvolgente e suggestiva l’interpretazione.

Ma, a quanto pare, non basta per avere l’ok dal network per un Messiah parte seconda e, alla fine, la decisione di Netflix E’ la risposta: se tornasse, lo metteremmo di nuovo in croce.

Tina Rossi
Tina Rossi
(a.k.a. Fulvia Andreatta) Editrice. Una, nessuna e centomila, il suo motto è “è meglio fingersi acrobati, che sentirsi dei nani” Dice di sé:” Per attimi rimango sospeso nel vuoto,giuro qualche volta mi sento perduto, io mi fido solo del mio strano istinto, non mi ha mai tradito, non mi sento vinto, volo sul trapezio rischiando ogni giorno, eroe per un minuto e poi...bestia ritorno...poi ancora sul trapezio ad inventare un amore magari...è solo invenzione, per non lasciarsi morire...”