“Where Dreams Are Made”, ce lo racconta Timothy Moore

“Where Dreams Are Made” è il titolo del nuovo album dell’artista italo-inglese, da venerdì 11 ottobre nelle piattaforme digitali, pubblicato da Ourtime/Believe.

Le nuove tracce del progetto non guardano al decennio del grunge, bensì del britpop.

La formula Timothy Moore si ottiene mescolando gli ingredienti base: Suede, Blur, Oasis e Pulp.

Le star storiche di questo mondo british, il quadrilatero che ha segnato una generazione fino ad arrivare ai Supergrass.

L’artista italo inglese conosce bene questo mondo musicale e da ognuno dei maestri ha saputo trarre insegnamento.

C’è l’innegabile istinto per l’orecchiabilità dei fratelli Gallagher, l’ambiguità lasciva di Brett Anderson, il senso della scena di Jarvis Cocker. Senza dimenticare la poliedricità di Damon Albarn, e per finire, la sana abilità del non prendersi troppo sul serio di Gaz Coombes.

Moore non si è limitato a riciclare stili di un passato idealizzato, ha girato il mondo, fatto esperienze di vita e musica. Ha rielaborato il britpop, facendolo suo, attualizzandolo.  A volte – ma non sempre – dire qualcosa di nuovo pur omaggiando palesemente i propri maestri è la cosa più intelligente da fare.

Timothy Moore è una di quelle volte.  

Where dreams are made

L’album è accompagnato dal singolo “Lost At Sea”, una ballad ariosa, che parte dal pianoforte per poi dare spazio a un arrangiamento avvolgente. Un crescendo costante come una marea, tutto d’un fiato, fino alla coda finale, in cui torna il sospiro della contemplazione.

“Lost At Sea”, con la produzione di Michele Tadini, è un brano diverso da “5 in the morning”, com’è giusto che sia per un artista che non ha bisogno di ripetersi nel pur breve percorso della sua carriera, il cui orizzonte si promette lungo, come quello del mare.

Il videoclip firmato da Jacopo Pietrucci raccoglie slow motion, panoramiche aeree, e un bianco e nero degno del compianto Maestro di fotografia Robert Frank. Un viaggio tra landscape diversi, stagioni che si confondono, in un valzer di movimenti di camera.

C’è la neve che cade uguale sugli scenari come sui personaggi, ci sono le montagne, così come c’è il mare del titolo, anche se, paradossalmente, solo per il tempo di una breve sequenza.

Ma rivivendo i frame nella loro interezza, ci si rende conto che gli scenari en plein air che contraddistinguono la totalità delle immagini sono stati introdotti da una brevissima sequenza iniziale che avevamo dimenticato: una carrellata laterale che potremmo definire la soggettiva da un treno del metrò.

la copertina dell album "where dreams are made" con un primo piano di Timoty Moore mezzo coperto dal fumo di una sigaretta

Timothy Moore

E’ stato iniziato alla musica sin dalla giovane età in una famiglia con una profonda cultura musicale classica.

Polistrumentista, si innamora dell’opera e, non a caso, scopre anche i Queen che tutt’ora ama.

Nell’album attuale compare anche la prestigiosa firma di Michele Tadini, docente al conservatorio di Lione nonché figlio d’arte del famoso pittore e scrittore Emilio Tadini. 

Timothy arriva da anni di carriera indipendente come leader della band Mood (tour in 9 paesi con più di 200 concerti all’attivo tra cui lo storico FestiMad di Madrid e lo Youbloom Festival in Irlanda; instore tour nelle varie FNAC europee; Indie Week in Canada). Il trio da lui formato, sotto contratto con Ventilador Music – Schubert Music, nasce a Barcellona (dove ha vissuto per 13 anni) e, oltre che front-man, è stato anche compositore e autore di tutte le canzoni.

A novembre 2018, c’è stato il suo debutto in Italia (per OurTime Records) coi singoli “The Rain” seguito nel 2019 da “5 in the morning”.

Esce ora l’album “Where Dreams Are Made”, preceduto dal singolo “Lost at Sea”.

Lele Boccardo
Lele Boccardo
(a.k.a. Giovanni Delbosco) Direttore Responsabile. Critico musicale, opinionista sportivo, pioniere delle radio “libere” torinesi. Autore del romanzo “Un futuro da scrivere insieme” e del thriller “Il rullante insanguinato”. Dice di sè: “Il mio cuore batte a tempo di musica, ma non è un battito normale, è un battito animale. Stare seduto dietro una Ludwig, o in sella alla mia Harley Davidson, non fa differenza, l’importante è che ci sia del ritmo: una cassa, dei piatti, un rullante o un bicilindrico, per me sono la stessa cosa. Un martello pneumatico in quattro: i tempi di un motore che diventano un beat costante. Naturalmente a tinte granata”.