Bobby Solo: 75 anni a ritmo di rock’n’roll

Bobby Solo, all’anagrafe Roberto Satti, compie 75 anni. Tre quarti di secolo a ritmo di rock’n’roll e di struggenti ballate: una voce unica, una vita dedicata alla musica. Ripercorriamo la carriera dell’ “Elvis Presley italiano”, attraverso questa intervista, ricca di spunti e di curiosità.

Le origini e il ciuffo

Bobby, innanzitutto auguri. Dimmi, come stai?

Sono felice. Sono felice soprattutto da quando sono diventato nuovamente padre. Sto vivendo questa paternità con l’età di un nonno. Con i primi figli ero sempre in giro per il mondo e lasciavo mia madre a fare la baby-sitter, non capivo il dono della vita. Adesso faccio delle riflessioni che a 23 anni non ero in grado di fare. Sto vivendo una bellissima parte della mia vita, grazie a questo bimbo, Ryan, di cui tutti gli altri miei figli sono innamorati. A livello salute…qualche acciacco dovuto all’età…a livello tournee… ne faccio nella misura giusta…4/5 date al mese…adesso è tutto fermo per via del Coronavirus, ma passerà anche questa.

Ok. Permettimi…in questo “riassunto” hai dimenticato una cosa…il ciuffo! 

C’è ancora! Un po stempiato ai lati…ma c’è ancora. Devo dirti che ho ripreso un vecchio prodotto che usavo tanti anni fa… siccome il gel diventa troppo secco, mettevo una piccola dose di “brill cream”, parliamo del 1967, che dava una bella oleosità, lo rendeva morbido. Adesso lo rifaccio, anche se non è facile riprendere questa pettinatura, perché è fuori moda. Si rifà a quella dei camionisti americani degli anni ’40 e non si usa più. Oggi il ciuffo c’è, ma si usa tutto rasato ai lati, ma io voglio rimanere legato alla mia tradizione.

Il rock’n’roll

Parlando di America, come sarebbe stata la vita di Bobby Solo senza il Rock’n’Roll?

Molto triste e molto monotona. Io ero un ragazzo timido e insicuro, senza un’idea davvero precisa di cosa voler fare da grande. Non amavo studiare, ma mi sarebbe piaciuto fare il ferroviere, perché lo vedevo come un lavoro molto statico, visto che fondamentalmente sono molto pigro. Poi a 14 anni ho conosciuto una ragazzina americana, figlia di un giornalista dell’Herald Tribune, che mi parlava di Elvis Presley, che io ancora non conoscevo. Io conoscevo Adriano Celentano, Little Tony, Johnny Dorelli. Ascoltando i dischi di Elvis ho capito quale sarebbe stato il mio destino. Elvis mi ha illuminato, mi ha indicato la via: il rock’n’roll.

Il Festival di Sanremo

Ma naturalmente c’è anche la tua musica, quella che ti ha portato al successo in Italia e molte volte a Sanremo…

…yesss…

Ecco, come giudichi le ultime edizioni, con la musica che, diciamo…latita… 

Guarda, il discorso è molto ampio e profondo. Prima cosa: le note sono 7 e sono state sfruttate al massimo. Se io compongo un pezzo nuovo oggi, giocoforza assomiglia a quello di qualcun altro. Le combinazioni migliori sono già state utilizzate.

Seconda cosa: non c’era il digitale e si registrava in diretta. Suonando dal vivo si crea un pathos, un’emozione che il computer non dà. Il computer è una macchina, fredda e senza cuore.

Terza cosa: l’impatto visivo. Vuoi mettere Nilla Pizzi in bianco e nero, con la scollatura, il rossetto…la gente impazziva. Oggi siamo invasi dai canali TV, la gente ha visto tutto e non ha più bisogno di Sanremo. Sanremo sopravvive perché ci sono gli sponsor, è diventato uno spettacolo dove è più importante che Roberto Benigni tocchi gli attributi di Pippo Baudo, oppure che uno minacci di buttarsi dalla balconata. Ma se uno vuole la buona musica, cerca altrove. Lo si guarda per curiosità, per abitudine. E’ un business.

Bobby Solo e Little Tony

Tony è stata una persona dalla generosità enorme. Quando sono arrivato a Sanremo nel 1964, mia mamma mi aveva dato 10.000 lire, che dovevano bastare per tutto il soggiorno. Avevo un cappotto calla marinara, con l’orlo rifatto tre volte, avevo 19 anni e continuavo a crescere. Quando mi ha visto, lui era già famoso, mi ha adottato. Mi ha portato in giro con la sua spider, mi ha offerto pranzi e cene, mi ha fatto conoscere le donnine del night club…io certe donne così belle le avevo viste solo in foto… (sorride, ndr), sai, non erano i 19 anni di oggi…poi negli anni seguenti abbiamo condiviso la passione per Elvis, che è durata cinquant’anni.

E quando è morto Elvis, the King of Rock’n’Roll, siamo andati a fare un’intervista alla RAI: mentre entravamo in studio, mi ha detto… adesso che Elvis è morto, non possiamo giocare più…poi l’ho aiutato durante una brutta crisi sentimentale, l’ho consolato e il Natale dell’anno dopo, ero io ad essere solo, a casa come un cane, mi invitò nella sua villa e mi regalò una chitarra Gibson, uguale a quella di Elvis nel film “Loving you” del valore di sei milioni di lire. Tony mi manca (gli si incrina la voce, ndr). Eravamo grandi amici, eravamo complici. Io so tutto di Tony, ma non lo dirò mai a nessuno. Conserverò i suoi segreti. Mi manca tantissimo.

rock'n'roll bobby solo e little tony appoggiati spalla con spalla e con il dito puntato verso l obiettivo

(attimo di silenzio, ndr)

Una lacrima sul viso

Senti…per chiudere, raccontami com’è andata veramente con la faccenda del play back di “Una lacrima sul viso”. 

E’ molto semplice. Ci ho pensato tante volte anch’io per capire se davvero fosse stata una faringite…la realtà…(sorride di nuovo, ndr)…sono arrivato a Sanremo a 19 anni privo di esperienza, senza aver fatto la gavetta. Dalla seconda Liceo Classico al Festival. Quindi, alle prove, vedendo Paul Anka padrone della scena…”ogni volta, ogni volta che torno…” (si mette a cantare, ndr), poi Frankie Avalon, poi Bobby Rydell…ho visto dei mostri del professionismo. Io ero un dilettante! Me la sono fatta sotto! Ho perso la voce! (ride, ndr). Mi sono emozionato. Tutto qua.

Grazie. E grazie per la tua disponibilità e la tua simpatia. Posso augurarti altri…trent’anni di rock’n’roll…???

Grazie. Grazie a te. Guarda, io mi alzo ogni mattina e dico…questo nuovo giorno devo godermelo, perché potrebbe essere l’ultimo. Ogni giorno è un dono di Dio.

Lele Boccardo
Lele Boccardo
(a.k.a. Giovanni Delbosco) Direttore Responsabile. Critico musicale, opinionista sportivo, pioniere delle radio “libere” torinesi. Autore del romanzo “Un futuro da scrivere insieme” e del thriller “Il rullante insanguinato”. Dice di sè: “Il mio cuore batte a tempo di musica, ma non è un battito normale, è un battito animale. Stare seduto dietro una Ludwig, o in sella alla mia Harley Davidson, non fa differenza, l’importante è che ci sia del ritmo: una cassa, dei piatti, un rullante o un bicilindrico, per me sono la stessa cosa. Un martello pneumatico in quattro: i tempi di un motore che diventano un beat costante. Naturalmente a tinte granata”.