In un precedente articolo, ci siamo occupati di “Rain”, singolo di Giulio Larovere, tratto dall’album “Road sweet home”. Ora è la volta dell’intero album, un concept, ispirato alla vita di John Knewock, da lui stesso raccontata in un diario che ripercorre trent’anni di vita hippie, avventure, emozioni e presa di coscienza iniziato negli anni ’60 in America.
Ne ho parlato con lo stesso autore, in questa interessante intervista, che ci racconta tutto, ma proprio tutto, sul disco, sulla genesi del progetto, senza tralasciare qualche piccola anticipazione sul futuro.
L’intervista a Giulio Larovere
Ciao Giulio. Innanzitutto, complimenti per il disco: l’ho ascoltato tutto d’un fiato, e l’ho trovato “elettrizzante”
Grazie davvero, mi fa molto piacere che ti sia piaciuto al punto da ascoltarlo tutto d’un fiato.
“Road sweet home” lo considero un compendio del cantautorato americano da Est a Ovest, dal primo Bruce Springsteen a Huey Lewis, passando per Bob Seger, con una punta di Bryan Adams. Sei d’accordo?
In questi mesi mi hanno
accostato ai R.E.M., a Lenny Kravitz, ai primi dischi dei Kings of Leon. Ora
arrivi tu con questo bellissimo “poker d’assi” e io non so cosa rispondere se
non che sono onorato di questi accostamenti anche se non credo di meritarli (ma
il mio ego ti ringrazia moltissimo hehehe). Tra l’altro, quando ti ho sentito
pronunciare il nome di Bob Seger mi è venuta in mente la scena del film “Risky
Business” con un giovanissimo Tom Cruise che balla in mutande e calzettoni in
salotto sulle note di “Old time rock and roll” perché ha la casa tutta per se e
ha intenzione di spassarsela alla grande.
Ho ascoltato tantissimo tutti e quattro questi artisti e ho anche avuto la
fortuna di vedere dal vivo “The Boss” a San Siro e Bryan Adams a Bologna
qualche anno fa e cantano meglio che sui dischi. Inossidabili!
Ho 46 anni e avendo divorato i loro dischi credo di aver “pescato” inconsciamente dalla loro musica. Spero di aver fatto un buon lavoro.
La genesi
Raccontami la genesi e lo sviluppo del progetto “Road sweet home”
Un paio di anni fa Paola,
una mia cara amica e compagna di teatro, mi parla dell’esistenza di questo
libro-diario di viaggio contenente racconti e poesie proponendomi di parlarne
davanti ad un caffè. Alla fine del bellissimo pomeriggio in sua compagnia, nel
quale ho ascoltato decine di aneddoti dell’incredibile ed avventurosa vita di
John, mi lascia il libro.
Mi metto subito al lavoro e registro a casa mia la bozza della canzone
“Ramblin’ Boy”. La facciamo ascoltare a sorpresa a Heather, moglie di John
arrivata dalla California in aereo per trascorrere una settimana in Italia in
compagnia di Paola. Heather ascoltando la canzone, scoppia in lacrime, mi ringrazia
ed ora son qui a parlarvi del mio disco con la sua “benedizione” e, mi sento di
dire, anche con quella di John.
Nella mia testa, inizialmente non avrei potuto nemmeno immaginare tutte le cose meravigliose che sono accadute. Partito con l’idea di fare semplicemente un disco ma mi sono reso conto fin da subito che questo sarebbe stato considerato, giustamente, un “concept album” per tutto il materiale che abbiamo creato contemporaneamente ai brani: un documentario di 10 puntate (una per ogni canzone), due videoclip, il progetto grafico, l’ufficio stampa e social media management, il crowdfunding completato con un grandissimo risultato.
Non ce l’avrei mai fatta senza l’aiuto di tutta la bellissima squadra.
Elettrico e acustico
L’album alterna momenti elettrici (bellissima “Paper bag”) e ballad (super “Like the winds”): in quali momenti c’è il vero Giulio Larovere?
Il vero Giulio Larovere c’è in ognuno dei pezzi, dalle ballad come “Like the winds” alle canzoni più scatenate come “What’s the use of being free” fino al pop più radiofonico di “Then now”. Sono tutte parti del mio essere. Come ho spesso detto, non riuscirei a fingere di essere ciò che non sono o a suonare cose che non sento mie o non mi appartengono. Mi sentirei di tradire la mia natura e credo anche che le persone che mi conoscono e seguono il mio percorso da tanto, se ne accorgerebbero. Chi mi conosce lo sa e vorrei che le persone che non mi conoscono non si facessero delle idee distanti dalla realtà e, l’unico modo per evitarlo, è essere genuini e fedeli alla propria natura.
Hai fatto caso alla voce? In certi momenti ricorda quella di Gary Brooker (che comunque era britannico…) dei Procol Harum.
Wow! No, sono onesto! Non sento la mia voce così bella e particolare ma, se insisti, accetto il complimento! Devo ammettere che hai tirato fuori dei nomi davvero importanti e questo mi fa comunque riflettere sul fatto che questo disco sia venuto fuori proprio bene. Grazie!
Rain
La scelta di “Rain” come “driving song” dell’album
Un singolo, se lo apprezzi
al primo ascolto, è un buon punto di partenza per trainare il resto del disco.
Anche il primo singolo del disco, “To see a lonely heart”, ha un bel tiro e
gira bene ma “Rain” (che è il secondo) “arriva” di più e speriamo continui ad
andar lontano.
Quando ho ascoltato la prima volta la versione in studio da Giuliano Dottori, a
fine giornata me la sono caricata sul telefono e l’ho ascoltata in macchina
mentre tornavo a casa.
Pioveva.
Mi sembrava la canzone perfetta per un viaggio e mi sono immaginato su una
decappottabile sulla Route 66 con la radio a palla sotto il sole.
Sarei curioso di sapere che cosa evoca “Rain” in quelli che la ascoltano.
Hai scelto, e sono completamente d’accordo, di usare strumenti “fisici” per “Road sweet home”. Perché questa scelta e, visto il risultato, vorrei che citassi i musicisti (bravissimi) coinvolti.
Innanzitutto grazie. Fa
piacere quando qualcuno riconosce il lavoro che c’è dietro ad un disco di
questo tipo. John aveva 20 anni negli anni ‘70 e all’epoca, nei dischi, i
musicisti suonavano strumenti veri. Niente computers, niente roba digitale,
niente taglia e cuci, niente autotune.
Per ricreare le sonorità di quegli anni negli USA non aveva senso, a nostro
avviso, utilizzare suoni digitali o elettronici (anche se in alcuni brani ci è
piaciuto introdurli in piccole dosi come decorazione, non come piatto
principale.)
No musicians, no show
I meravigliosi e talentuosi musicisti che hanno suonato in questo disco, oltre
al sottoscritto, sono:
Enrico Meloni – Electric guitar, Giuliano Dottori – Electric
guitar , Andrea Vismara – Bass, Daniele Capuzzi – Drums, Raffaele
Scogna – Keys e Vincenzo Marino – Sax
Cosa bolle in pentola: Covid permettendo, ti vedremo sul palco col tuo progetto, e per il futuro, ti vedremo alle prese con testi in italiano?
Quando usciremo da questo periodo
duro e difficile, tutto questo disco DEVE essere suonato dal vivo davanti ad un
pubblico. Abbiamo fatto tanta fatica per non lasciarlo dentro ad un libro, ora
non possiamo lasciarlo dentro ad un disco. Mi sembrerebbe di non aver compiuto
appieno questo percorso e di non aver trasmesso completamente il messaggio di
John.
Dovrò attendere di avere le risorse per farlo ma lo farò, anche solo per
condividere la gioia immensa che ho provato creandolo insieme a tutte le
persone che ci hanno lavorato. A fine serata probabilmente piangerò come è
successo nell’ultima puntata del documentario e sarà liberatorio.
Il prossimo disco, e lo sto promettendo anche agli amici che insistono da anni,
sarà in italiano. Prima devo chiudere questo cerchio, poi ne aprirò un altro.
Grazie, e complimenti ancora. Alla prossima!
Grazie a te per le tue
bellissime domande e per i complimenti.
Buona vita a tutti voi e a presto!
“Road sweet home”, scritto, interpretato e prodotto da Giulio Larovere. insieme a Larsen Premoli, e Giuliano Dottori, è disponibile in digital download dal 18 febbraio.
Recording, mix e master: Larsen Premoli (Reclab Studios, Buccinasco).
Potete seguire Giulio Larovere su Facebook, Instagram, Spotify, Apple Music, sul canale YouTube e sul sito ufficiale.