Impatti distruttivi sul clima: Eni sapeva fin dagli anni settanta

Compagnie Fossili e il Cambiamento Climatico: ENI sapeva fin dagli anni settanta dei futuri impatti distruttivi sul clima del pianeta derivanti dalla combustione delle fonti fossili. Il rapporto-inchiesta di Greenpeace.

Negli ultimi anni, il cambiamento climatico è diventato uno dei problemi più urgenti e dibattuti a livello globale. La crescente preoccupazione per il riscaldamento globale, l’innalzamento del livello del mare e gli eventi meteorologici estremi ha spinto la comunità scientifica, gli attivisti e i governi di tutto il mondo a cercare soluzioni per mitigare gli effetti deleteri del cambiamento climatico.

In questo contesto, diverse inchieste e ricerche hanno svelato un fatto sconcertante: le principali compagnie fossili del pianeta erano consapevoli degli impatti negativi del loro settore sull’ambiente sin dagli anni ’70.

In particolare, per quel che riguarda il nostro Paese, la società di Stato che deteneva il monopolio della fornitura di combustibili fossili, fino alla liberalizzazione del mercato, era l’ENI, Ente Nazionale Idrocarburi. Ad oggi resta tra le principali compagnie fossili italiane, con una fitta rete di collaborazioni con altre compagnie fossili mondiali.

Greenpeace ha concluso un’inchiesta molto precisa e articolata che rivela nei dettagli come ENI fosse a conoscenza degli impatti distruttivi sul clima che le loro attività avrebbero avuto nei decenni successivi.

“Cronaca di una morte annunciata”, fin dagli anni Settanta

Gli anni settanta furono un decennio di profondi cambiamenti sociali e culturali, con un crescente interesse per le questioni ambientali. In questo contesto, emerse una sorta di movimento che avrebbe lasciato un’impronta duratura sulla storia dell’attivismo ambientale: una presa di coscienza generale sugli impatti distruttivi che l’uso di fonti fossili avrebbero avuto sul clima del pianeta. Oggi lo chiameremmo “movimento green” degli anni settanta. Gli attivisti del tempo promuovevano la consapevolezza ambientale, la sostenibilità e la responsabilità ecologica, e la loro azione ebbe un impatto significativo sulla società e contribuì a plasmare il modo in cui affrontiamo ancora oggi le sfide ambientali.

Una delle questioni più urgenti dell’epoca era la crescente consapevolezza dei danni ambientali causati dall’inquinamento atmosferico, dall’uso sconsiderato delle risorse naturali e dalla minaccia di una crescente perdita di biodiversità. Queste preoccupazioni spinsero molti a chiedere un cambiamento nelle politiche governative e nelle pratiche aziendali.

Inoltre, l’anno 1970 segnò la nascita del Giorno della Terra (Earth Day), un evento globale che richiamò l’attenzione del pubblico sulle questioni ambientali e accelerò il fermento attorno al movimento green. Il Giorno della Terra divenne un’occasione per promuovere la sensibilizzazione e l’azione ambientale.

Gli ambientalisti ottennero una serie di successi significativi. Per esempio, in risposta alla crescente pressione pubblica, il governo federale degli Stati Uniti creò l’Environmental Protection Agency (EPA) nel 1970, un’agenzia dedicata alla tutela dell’ambiente. Questo rappresentò un importante passo avanti nell’attuazione delle politiche ambientali a livello nazionale.

Le azioni in Italia

Negli ultimi decenni, l’Italia ha dimostrato un crescente impegno verso la tutela dell’ambiente e la promozione della sostenibilità. Questo impegno si è concretizzato attraverso la creazione di comitati e commissioni ambientali, nonchè di una solida attività di organizzazioni ambientaliste che hanno svolto un ruolo fondamentale nel monitorare, proteggere e promuovere la bellezza naturale e la ricchezza ambientale del paese.

Anche per quel che riguarda il nostro Paese, l’interesse per le questioni ambientali può essere fatto risalire agli anni settanta, quando il movimento ambientalista internazionale guadagnava slancio. L’attenzione verso i problemi ecologici e la consapevolezza della necessità di azioni concrete aumentarono in Italia, portando alla creazione di organizzazioni ambientaliste e comitati locali.

Un punto di svolta fondamentale nell’impegno ambientale italiano fu la promulgazione della “Legge per la Tutela dell’Ambiente” (Legge 349/1986). Questa legge, spesso citata come “legge Galasso,” pose le basi per la protezione dell’ambiente in Italia. Essa istituì l’obbligo di valutare l’impatto ambientale di progetti industriali e infrastrutturali e creò l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente (ARPA) per monitorare la qualità dell’aria e dell’acqua.

Le Compagnie Fossili sapevano

Sono davvero tante le inchieste simili a quelle di Greenpeace Italia, che indicano che molte delle principali compagnie fossili avevano già una conoscenza approfondita sugli effetti destabilizzanti delle emissioni di gas serra causate dalla combustione di carbone, gas e petrolio. Una consapevolezza risale addirittura ai primi anni ’70, quando le prime ricerche scientifiche iniziarono a mettere in luce la relazione tra l’attività industriale umana e il cambiamento climatico.

È importante sottolineare che molte di queste aziende non solo avevano accesso a dati scientifici rilevanti, ma avevano anche i mezzi finanziari e tecnologici per comprendere appieno l’impatto delle loro attività sull’ambiente. Questa consapevolezza includeva la conoscenza delle conseguenze dell’aumento delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera, come il riscaldamento globale, l’acidificazione degli oceani, la perdita di biodiversità e gli eventi meteorologici estremi.

Nonostante la loro consapevolezza, molte compagnie fossili non hanno intrapreso azioni significative per affrontare il problema del cambiamento climatico. Invece, molte di esse hanno adottato strategie per ritardare o minimizzare l’impatto delle regolamentazioni ambientali e hanno continuato a promuovere l’uso dei combustibili fossili. Questo atteggiamento ha suscitato una crescente indignazione da parte dell’opinione pubblica, degli attivisti per l’ambiente e dei governi che cercano di limitare le emissioni di gas serra.

Il Ruolo delle Inchieste e della Trasparenza

Tornando in Italia, l’inchiesta e le ricerche di Greenpeace hanno svolto un ruolo cruciale nel portare alla luce la conoscenza a lungo nascosta della compagnia ENI. Questi sforzi hanno messo in evidenza la necessità di maggiore trasparenza e responsabilità nell’industria dei combustibili fossili. Le informazioni emerse dovrebbero spingere molti investitori e azionisti a chiedere alle aziende di rivelare le informazioni sulle emissioni di gas serra e sugli impatti climatici delle loro operazioni.

Per amor di verità, c’è da sottolineare che tante aziende stesse, sotto la pressione dell’opinione pubblica e degli investitori responsabili, stanno iniziando a riconsiderare le loro strategie e a impegnarsi a ridurre le emissioni di gas serra. Alcune stanno esplorando alternative energetiche più sostenibili e cercando di diversificare i loro portafogli di investimento.

Ma le recenti rivelazioni riguardo alla consapevolezza delle compagnie fossili sull’effetto destabilizzante dei combustibili fossili sul clima globale mettono in luce la necessità di un cambiamento drastico nelle politiche energetiche e ambientali. È essenziale che le aziende assumano la responsabilità dei danni ambientali causati dalle loro attività e che agiscano in modo proattivo per ridurre le emissioni di gas serra. Inoltre, i governi devono adottare misure più rigorose per regolamentare l’industria dei combustibili fossili e promuovere fonti di energia pulita e sostenibile. Solo attraverso un impegno condiviso a livello globale possiamo sperare di mitigare gli impatti devastanti del cambiamento climatico e proteggere il nostro pianeta per le future generazioni.

Una presa di coscienza che stenta ad arrivare perchè, ovviamente, gli interessi economici in gioco sono altissimi. Il vero problema è che siamo quasi ad un punto di non ritorno per il pianeta e i cambiamenti climatici causano disastri ambientali sempre più frequenti e sempre più gravi.

Il rapporto Greenpeace: ENI Sapeva

In diverse sue pubblicazioni risalenti agli anni Settanta e Ottanta, il colosso italiano ENI, all’epoca interamente controllato dallo Stato, metteva in guardia sui possibili impatti distruttivi sul clima del pianeta derivanti dalla combustione delle fonti fossili. Eppure, nonostante questi ammonimenti, l’azienda ha proseguito e continua ancora oggi a investire principalmente sull’estrazione e lo sfruttamento di petrolio e gas.

Inoltre sin dalla prima metà degli anni Settanta il Cane a sei zampe ha fatto parte dell’IPIECA, un’organizzazione fondata da diverse compagnie petrolifere internazionali che, secondo recenti studi, a partire dagli anni Ottanta avrebbe consentito al gigante petrolifero statunitense Exxon di coordinare “una campagna internazionale per contestare la scienza del clima e indebolire le politiche internazionali sul clima”.

È quanto denuncia «ENI sapeva», il rapporto diffuso nei giorni scorsi da Greenpeace Italia e ReCommon e realizzato grazie a ricerche effettuate negli scorsi mesi presso biblioteche e archivi della stessa ENI o di istituzioni scientifiche come il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Lo studio, basato anche su recenti analisi simili riguardanti altre compagnie come la francese TotalEnergies, include inoltre contributi di storici della scienza come Ben Franta, ricercatore senior in Climate Litigation presso l’Oxford Sustainable Law Programme, tra i maggiori esperti del tema a livello mondiale, e Christophe Bonneuil, attualmente direttore di ricerca presso il più grande ente pubblico di ricerca francese, il Centre national de la recherche scientifique (CNRS).

La causa contro ENI

«La nostra indagine dimostra come ENI possa essere aggiunta al lungo elenco di compagnie fossili che, come è emerso da numerose inchieste internazionali condotte negli ultimi anni, erano consapevoli almeno dai primi anni Settanta dell’effetto destabilizzante che lo sfruttamento di carbone, gas e petrolio esercita sugli equilibri climatici globali, a causa delle emissioni di gas serra», dichiara Felice Moramarco, che ha coordinato la ricerca per Greenpeace Italia e ReCommon. «Se ci troviamo oggi nel pieno di una crisi climatica che minaccia le vite di tutte e tutti noi, la responsabilità ricade principalmente su aziende come ENI, che hanno continuato per decenni a sfruttare le fonti fossili, ignorando gli allarmanti e crescenti avvertimenti provenienti dalla comunità scientifica globale».

Lo scorso 9 maggio Greenpeace Italia, ReCommon e dodici cittadine e cittadini italiani hanno presentato una causa civile nei confronti di ENI per i danni subiti e futuri, di natura patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui la compagnia avrebbe significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendo consapevole degli impatti sul clima delle proprie attività, come dimostrato dal rapporto “ENI sapeva”. La causa mira a costringere ENI a rivedere la sua strategia industriale e a  ridurre le sue emissioni del 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020, come raccomandato dalla comunità scientifica internazionale per rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. La causa è stata presentata anche contro il Ministero dell’Economia e delle Finanze e contro Cassa Depositi e Prestiti S.p.A., in quanto azionisti rilevanti di ENI.

Leggi qui il rapporto “ENI Sapeva”

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Tina Rossi
Tina Rossi
(a.k.a. Fulvia Andreatta) Editrice. Una, nessuna e centomila, il suo motto è “è meglio fingersi acrobati, che sentirsi dei nani” Dice di sé:” Per attimi rimango sospeso nel vuoto,giuro qualche volta mi sento perduto, io mi fido solo del mio strano istinto, non mi ha mai tradito, non mi sento vinto, volo sul trapezio rischiando ogni giorno, eroe per un minuto e poi...bestia ritorno...poi ancora sul trapezio ad inventare un amore magari...è solo invenzione, per non lasciarsi morire...”