Informazioni ambientali: sentenza impone il libero accesso

SENTENZA SENZA PRECEDENTI DEL CONSIGLIO DI STATO DÀ RAGIONE A GREENPEACE CONTRO ENI E POLITECNICO DI TORINO, «LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE NON POTRÀ PIÙ LIMITARE L’ACCESSO ALLE INFORMAZIONI AMBIENTALI»

Il 6 luglio scorso il Consiglio di Stato, l’ultimo grado della giustizia amministrativa, con una decisione che crea un precedente importante ha accolto la richiesta di Greenpeace Italia di avere accesso alle informazioni ambientali, cioè a tutti gli atti, accordi e contratti – anche di tipo finanziario – che intercorrono tra ENI (e le società della sua galassia) e il Politecnico di Torino. 

Il Consiglio di Stato, infatti, concorda sul fatto che l’informazione ambientale riguarda “non solo i dati e i documenti posti in immediata correlazione con il bene ambiente, ma anche le scelte, le azioni e qualsivoglia attività amministrativa che ad esso faccia riferimento”. Inoltre, si chiarisce come “gli atti e documenti di cui è stata chiesta l’ostensione non possano essere esclusi dall’accesso ambientale, essendo essi espressione di un’attività amministrativa che, direttamente o indirettamente, involge l’ambiente e la sua tutela”. 

Greenpeace vs ENI e Politecnico di Torino: Il processo

Questa sentenza è solo l’ultimo tassello di un lungo processo legale iniziato a marzo 2021, quando Greenpeace Italia aveva chiesto l’accesso agli atti in base alla legge 241 del 1990 o con lo strumento del FOIA (accesso civico generalizzato) a tutte le università pubbliche italiane per capire se e quanto ENI influenzi la ricerca e la didattica dell’università pubblica, finanziando programmi e commissionando ricerche. Alla richiesta dell’organizzazione ambientalista però aveva risposto solo un ateneo su quattro. 

Greenpeace Italia aveva quindi fatto ricorso al TAR contro alcune delle università che non erano state trasparenti o che avevano negato l’accesso, tra cui il Politecnico di Torino, che ha all’attivo una collaborazione con ENI dal 2008, e aveva da poco rinnovato degli accordi con l’azienda. A distanza di un anno, nell’aprile 2022, la prima vittoria: il TAR del Piemonte dà ragione all’organizzazione ambientalista “ordinando al Politecnico di Torino di consentire a Greenpeace Onlus l’accesso alla documentazione richiesta”. Ma ENI e il Politecnico di Torino fanno ricorso contro la sentenza del TAR Piemonte. Il procedimento è passato quindi all’ultimo grado di giudizio, il Consiglio di Stato, che nei giorni scorsi si è espresso accogliendo integralmente la richiesta di Greenpeace.

Libero accesso alle informazioni ambientali

«La sentenza del Consiglio di Stato è perentoria: non sarà più possibile per la Pubblica Amministrazione limitare l’accesso all’informazione ambientale, affermando che è tale solo quella che riguarda in senso stretto elementi come l’aria, l’atmosfera, l’acqua o il suolo», spiega l’avvocato Alessandro Gariglio, legale di Greenpeace Italia. «Da questo momento in avanti dovranno essere inserite in questo elenco, ad esempio, anche tematiche come l’energia. Soprattutto, d’ora in poi dovrà essere accessibile a chi ne fa richiesta tutto ciò che, anche in senso più ampio, possa interessare la tematica ambientale».

Come stabilito dalla sentenza del Consiglio di Stato, il Politecnico di Torino dovrà ora fornire a Greenpeace Italia la documentazione richiesta in merito alle informazioni ambientali, entro 20 giorni dalla comunicazione della sentenza. 

«Non solo è paradossale e inaccettabile che aziende fossili come ENI finanzino la ricerca e la didattica negli atenei pubblici del nostro Paese. Ma, in questo caso, abbiamo assistito addirittura al tentativo, fortunatamente fallito, di mantenere queste relazioni sotto una cortina di segretezza», afferma Simona Abbate di Greenpeace Italia. «La tattica di ENI è evidente: fare greenwashing spacciandosi come azienda che finanzia progetti di ricerca in ambito di sostenibilità, mentre il proprio core business resta e resterà principalmente fossile».

Eni accusata anche di violare il diritto alla salute

Il contenzioso conclusosi con la decisione del Consiglio di Stato non è l’unico che vede confrontarsi ENI e Greenpeace Italia a livello legale. Lo scorso 9 maggio l’organizzazione ambientalista, ReCommon e dodici tra cittadine e cittadini italiani hanno deciso di portare l’azienda in tribunale per chiedere che riduca le sue emissioni secondo quanto dettato dall’accordo di Parigi sul clima. La prima udienza è prevista per fine novembre.

Greenpeace Italia, ReCommon e dodici tra cittadine e cittadini italiani hanno notificato a ENI S.p.A. un atto di citazione per l’apertura di una causa civile nei confronti della società, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (queste ultime due realtà in qualità di azionisti che esercitano un’influenza dominante sulla società).

La causa civile ha per oggetto i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui ENI ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone consapevole.

E’ la prima climate litigation in Italia.

Faccio causa a ENI perchè…

«Faccio causa a ENI e alle realtà statali che la controllano perché le loro strategie non rispettano gli accordi di Parigi in termini di emissioni di CO2», dichiara Vanni, uno dei cittadini che ha fatto partire la causa civile nei confronti di ENI insieme a Greenpeace Italia e ReCommon.

«L’operato di ENI contribuisce ad aggravare notevolmente la crisi climatica, con conseguenze sempre peggiori per me e per il mio territorio, il Polesine. Nei pressi del Delta del Po, il mare avanzerà sempre di più nelle nostre terre, e con la risalita del cuneo salino rischiamo di trovarci a vivere in un vero e proprio deserto o di essere costretti abbandonare la nostra casa e la nostra terra».
«La Regione in cui vivo, il Piemonte, subisce già oggi gli effetti di una drammatica siccità, come dimostra il bassissimo livello delle precipitazioni registrato quest’inverno», racconta invece Rachele. «Un problema che probabilmente si aggraverà in futuro. Ecco perché ho deciso di partecipare a questa azione legale in qualità di parte lesa. Non ritengo giusto che il principale fornitore di energia italiano, di cui lo Stato tra l’altro è il maggiore azionista, possa portare avanti anno dopo anno un programma di investimenti che va contro gli obiettivi fissati dall’ultimo rapporto dell’IPCC, massima autorità scientifica globale in fatto di cambiamenti climatici».

#lagiustacausa

#LaGiustaCausa – questo il nome della campagna che promuove l’iniziativa legale contro ENI, la prima del suo genere contro una società di diritto privato in Italia – si inserisce nel novero delle cosiddette climate litigation, azioni di contenzioso climatico il cui numero complessivo, a livello globale, è più che raddoppiato dal 2015 a oggi, portando il totale di cause a oltre duemila.

Tra queste, spicca l’azione legale promossa da Friends of the Earth Netherlands (Milieudefensie), insieme a Greenpeace Netherlands, altre organizzazioni e 17.379 singoli co-ricorrenti, che nel maggio 2021 ha indotto un tribunale dei Paesi Bassi a stabilire che Shell è responsabile di aver danneggiato il clima del Pianeta, imponendo alla compagnia britannica di ridurre le proprie emissioni di carbonio. Per dovere di cronaca, segnaliamo che Shell ha appellato la sentenza.

causa civile #lagiustacausa
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Tina Rossi
Tina Rossi
(a.k.a. Fulvia Andreatta) Editrice. Una, nessuna e centomila, il suo motto è “è meglio fingersi acrobati, che sentirsi dei nani” Dice di sé:” Per attimi rimango sospeso nel vuoto,giuro qualche volta mi sento perduto, io mi fido solo del mio strano istinto, non mi ha mai tradito, non mi sento vinto, volo sul trapezio rischiando ogni giorno, eroe per un minuto e poi...bestia ritorno...poi ancora sul trapezio ad inventare un amore magari...è solo invenzione, per non lasciarsi morire...”