Microchip nel cervello per comunicazioni telepatiche: dove finiremo?

Il Neuralink di Elon Musk e la transizione tecnologica: un microchip nel cervello per comunicazioni telepatiche: dove finiremo?

L’annuncio del primo impianto di un microchip Neuralink nel cervello umano, comunicato con entusiasmo da Elon Musk, apre le porte a un mondo di possibilità. Tuttavia, dietro a questo entusiasmante passo avanti si nascondono delle domande cruciali che meritano riflessione e, al contempo, suscitano una serie di interrogativi profondi sul futuro della nostra specie. In merito allo sviluppo della tecnologia che mira ad una simbiosi tra essere umano e macchine, non sono pochi i dubbi a riguardo.

Comunicare telepaticamente con un computer implica la trasmissione diretta di dati cerebrali, e garantire la sicurezza di tali informazioni è cruciale per evitare abusi e intrusioni nella sfera privata degli individui.

E’ proprio necessario arrivare a un’interazione del genere? Dove può portarci questo pericoloso cammino?

L’essere umano avrà ancora un’identità in quanto appartenente al regno animale o il suo destino è quello di diventare un ibrido senza emozioni? E i robot, potrebbero acquisire capacità che rischiano di essere fuori dal controllo degli umani? E se i robot poi riuscissero ad avere una coscienza propria, un’intelligenza emotiva o peggio prendere decisioni autonome contro la volontà o, peggio, lesive per la razza umana?

Stiamo costruendo un futuro a misura di Hollywood o è Hollywood ad aver ancora una volta anticipato semplicemente i tempi?

La Sfida dell’Identità Umana

La simbiosi tra l’uomo e la macchina solleva interrogativi filosofici fondamentali. L’essere umano, nel perseguire l’ibridazione con la tecnologia, rischia di perdere la sua identità radicata nel regno animale? Il destino dell’umanità è davvero quello di diventare un ibrido senza emozioni, o c’è il rischio di perdere aspetti essenziali della nostra umanità?

Il concetto di simbiosi uomo-macchina solleva una domanda cruciale: in che modo questa fusione influenzerà l’identità umana?

L’ibridazione tra cervello umano e microchip potrebbe rappresentare una metamorfosi profonda o, al contrario, portare a una perdita di connessione con la nostra essenza umana-animale? Questo processo di evoluzione sfida la nostra comprensione stessa dell’umanità che naturalmente viene da un’esasperazione dell’uso della tecnologia, malgrado possa aiutare persone ammalate.

Saremo uomini o caporali?

Già oggi è disponibile una tecnologia di intelligenza artificiale , quella di Chat Gpt e di altre realtà virtuali appena annunciate, in grado di elaborare complessi contenuti non solo in termini di scrittura e immagine, ma anche tenendo conto delle emozioni di chi l’adopera. Prendendo in considerazione l’ultimo prodotto di IA, Rabbit R1, parliamo di un dispositivo che non solo dialoga con gli utenti, ma agisce letteralmente al loro posto.

La sua capacità di eseguire compiti complessi rende evidente il passo avanti nella convergenza tra l’uomo e la macchina. In buona sostanza, dovremmo riuscire ad interagire con il nostro “companion” attraverso la nostra voce, non solo imponendo dei comandi, ma esprimendo anche le nostre emozioni, i nostri desideri, i nostri progetti e le nostre necessità. Rabbit R1 “intuirà” le nostre esigenze e le risolverà esplorando nel suo hardware e consultando al nostro posto le app più adatte alle nostre richieste o aspettative. Un passo prima della lettura del pensiero, insomma.

Rischi di Perdita di Controllo

L’accelerazione della tecnologia ci costringe a confrontarci con il rischio di perdere il controllo sugli sviluppi futuri. L’aumento delle capacità dei microchip e la loro integrazione con il cervello sollevano il timore che i robot possano acquisire abilità che potrebbero sfuggire al nostro controllo.

In tempi non sospetti, la chirurgia plastica fu accolta con entusiasmo perchè avrebbe potuto consentire a persone con gravi problemi fisici, di migliorare il proprio aspetto estetico, purtroppo fondamentale nell’interazione umana. Un passo avanti della medicina che riusciva a restituire a pazienti sfigurati o penalizzati da difetti fisici, un’apparenza più consona ai dettami estetici della vita contemporanea, oltre a ridare autostima al paziente stesso.

Oggi l’utilizzo della chirurgia plastica è spesso esasperato e utilizzato non certo per necessità mediche, ma è diventato un fenomeno sociale strettamente correlato alla “società dell’immagine”.

Oggi, il parallelo con il neuralink di Elon Musk è inevitabile. Quanto tempo ci vorrà prima che anche questo strumento diventi parte integrante della concezione utilitaristica della nostra società?

La domanda cruciale è: fino a che punto dovremmo permettere ai robot di diventare autonomi, e quale potrebbe essere l’impatto sulla nostra libertà e indipendenza?

Con l’incremento delle capacità dei microchip e la loro integrazione con il cervello umano, sorge la preoccupazione, o forse sarebbe meglio dire, sorge la probabilità, di perdere il controllo sulla tecnologia. Fino a che punto dovremmo consentire ai robot di diventare autonomi, e quali conseguenze potrebbero derivare da questa emancipazione tecnologica? L’equilibrio tra progresso e controllo richiede un approccio ponderato e consapevole.

Conseguenze Sociali ed Etiche

Presentare ogni tecnologia come “giusta causa” per l’evoluzione della scienza in campo medico, comincia a suonare “stonato”.

L’esasperazione dell’uso della tecnologia, pur con il potenziale di aiutare persone malate, solleva dubbi sulla reale necessità di arrivare a un’interazione così profonda. Utilizzare una comunicazione telepatica per sopperire a capacità motorie e/o sensoriali, compromesse da una malattia, purtanto nobile sia l’intenzione, è davvero funzionale per il paziente?

Il Neuralink è presentato come un valido aiuto a chi non può interagire con una tastiera, ne verbalmente ne con le mani. Ergo, si parla di pazienti inerti, che non possono esprimersi verbalmente e non possono scrivere.

L’analisi critica di questi sviluppi, approfondendo temi filosofici, etici e sociali, è essenziale per plasmare un futuro che sia non solo tecnologicamente avanzato, ma anche eticamente bilanciato e rispettoso dei valori fondamentali dell’umanità.

E’, per così dire, “umano” il contributo tecnologico di Elon Musk, o stiamo velatamente sperimentando, con buona pace della scienza medica, tecnologie che, oltre a non essere economicamente alla portata di chiunque presenti manomazioni fisiche, deviano il paziente stesso in una dimensione di vita parallela?

Sebbene la comunicazione telepatica con un computer possa rappresentare una rivoluzione positiva per molte persone con disabilità, è fondamentale affrontare queste questioni in modo ponderato e etico, bilanciando il progresso tecnologico con l’integrità umana e la consapevolezza delle implicazioni sociali ed etiche.

Noi siamo scienza, non fantascienza

…Diceva un noto spot televisivo, in un tempo non così troppo lontano.

Come è sempre successo, la stessa tecnologia oggi presentata come utile in campo medico, viene successivamente applicata e distribuita anche a chi non è inabile. L’esempio più semplice che viene alla mente è Alexa. Questa tecnologia nata (o meglio, comunicata), in supporto di chi poteva interagire solo con comandi vocali, ha finito per essere un lusso della domotica.

Il cammino verso un’interazione più stretta tra uomo e macchina pone anche domande cruciali sulle conseguenze sociali ed etiche di questa evoluzione. In che misura questa tecnologia migliorerà effettivamente la qualità della vita, e quali compromessi siamo disposti ad accettare?

Sorge la domanda se stiamo realmente costruendo un futuro a misura di Hollywood, dove la tecnologia e l’intelligenza artificiale si svelano come minacce infauste per l’umanità. La linea già sottile tra la fantascienza e la realtà si assottiglia ancor di più, portando a riflettere se stiamo realizzando infausti presagi o se possiamo gestire consapevolmente le conseguenze delle nostre scoperte tecnologiche.

È essenziale considerare attentamente le sfide e le opportunità che derivano dalla convergenza uomo-macchina, evitando sia l’eccessivo entusiasmo sia l’apatia di fronte a un cambiamento così significativo.

In quale direzione stiamo dirigendo il nostro futuro? Ma, in definitiva, ne abbiamo davvero bisogno, o stiamo solo appagando un senso collettivo di megalomania, ed Elon Musk sta giocando a fare Dio?

Forse vi farà sorridere, ma non è che, in fondo in fondo, oltre ai pensieri, ci ruberanno anche i sogni?

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Tina Rossi
Tina Rossi
(a.k.a. Fulvia Andreatta) Editrice. Una, nessuna e centomila, il suo motto è “è meglio fingersi acrobati, che sentirsi dei nani” Dice di sé:” Per attimi rimango sospeso nel vuoto,giuro qualche volta mi sento perduto, io mi fido solo del mio strano istinto, non mi ha mai tradito, non mi sento vinto, volo sul trapezio rischiando ogni giorno, eroe per un minuto e poi...bestia ritorno...poi ancora sul trapezio ad inventare un amore magari...è solo invenzione, per non lasciarsi morire...”