In Pianura Padana è allarme siccità. Fiumi e laghi quasi in secca, calo dei raccolti e boom di costi in tutta la regione della Lombardia. Si alza il grido degli agricoltori per via del crollo della produzione di mais.
Siamo nel mezzo di una crisi epocale ambientale, ma sembra che questo importi solo alla scienza, in quanto le campagne messe in atto dalle vari associazioni, enti e istituzioni non riescono ad essere l’oggetto principale delle notizie dei media. Meglio parlare di economia, di crescita del PIL e di cementificazione. Le notizie che arrivano sono assolutamente irrilevanti rispetto all’emergenza che stiamo vivendo, contenuti che sottovalutano la reale gravità dello stato di salute del nostro Pianeta. Eppure i risultati delle attività di due secoli di industrializzazione sono sotto gli occhi di tutti e si sentono sulla pelle.
Forse parlare di livelli di allarme preoccupanti non è consigliabile per non generare ansia nella popolazione. Ma il problema resta e sta diventando sempre più grave. A dirlo sono le comunità scientifiche che hanno definito antropocene il periodo che stiamo vivendo. Paul Crutzen, l’olandese premio Nobel della chimica, ha affermato che viviamo in un periodo unico per il nostro pianeta, dove una sola specie, l’homo sapiens ha messo a sacco le risorse del Pianeta generando cambiamenti epocali nei processi naturali.
La Pianura Padana ha sete
Lo scorso anno la siccità aveva colto tutti impreparati perché, di fronte al deficit di riserve idriche invernali, c’era sempre stata la speranza che l’acqua arrivasse in primavera. Quest’anno si è più attrezzati perché ci si aspetta già il peggio.
I conti con la siccità, però, gli agricoltori iniziano già a farli, visto che a marzo devono partire le prime semine. “Dal Pirellone – spiega Giovanni Garbelli, presidente di Confagricoltura Brescia – ci diranno verso metà aprile qual è la capacità idrica della nostra regione. Ma per noi sarà tardi, perché le semine principali vanno fatte entro fine marzo, al massimo all’inizio di aprile. Stiamo invitando gli agricoltori alla massima prudenza”.
Starà a ciascuno regolarsi sulle quantità e sulle tipologie di seminativi. Certo è che il 2022 ha lasciato un segno profondo. Secondo i dati Istat, per il mais – tra le produzioni tipiche dell’agricoltura padana – nel 2022 sono stati raccolti circa 11,8 milioni di quintali rispetto ai 15,6 milioni del 2021. Nel Bresciano si è passati da 3,7 milioni di quintali raccolti nel 2021 a 2,9 nel 2022, nonostante la superficie sia rimasta pressoché invariata, poco più di 30mila ettari. Riduzioni si sono registrate ovunque: nella Bergamasca si è passati da un milione a circa 800mila quintali, a Lecco da 72mila a 45 mila quintali, nel Comasco da 140mila a 67mila quintali; nella provincia di Sondrio da 6.700 a meno di 5.500.
“L’uso plurimo delle acque – commenta Garbelli – fa sì che dai laghi continui a uscire più acqua di quella che entra“. Senz’acqua, non sono più sostenibili coltivazioni come quella del mais, che è anche una delle piante che cattura più azoto e Co2.
Il Codacons scrive alla Regione perché sia valutato un piano di emergenza preventivo che eviti i danni all’agricoltura.
Il Pianeta è la nostra priorità
8 miliardi di persone che non si cura di questi cambiamenti, anzi, ne è la causa. L’America Institute of Biological Sciences, già nel novembre del 2019 pubblicava un monito sottoscritto da 11mila scienziati, ma la notizia non ha minimamente fatto breccia. Poi è arrivata la pandemia, e parlare di catastrofi geologiche e ambientali non era prioritario quanto dare i bollettini quotidiani dei decessi da Covid. E pensare che forse quello era il periodo, forse, più utile per sensibilizzare le persone su un’educazione ambientale e, per i governi, una buona occasione da cogliere per inserire nuove strategie per trovare un sistema economico alternativo.
Il Permafrost, cioè quella immensa quantità di terreno gelato che forma i ghiacciai del pianeta, se si scioglie potrebbe generare un immensa quantità di effetto serra. Se si deforesta troppo, la foresta amazzonica non si autoalimenterà più attraverso il processo di assorbimento dele piogge e il conseguente rilascio di ossigeno. Il polmone più grande della Terra collasserebbe. Sono solo alcuni dei punti di non ritorno che non dobbiamo raggiungere.
Non abbiamo mai avuto così tanta CO2 nell’atmosfera da 800mila anni. A dirlo è Luca Mercalli, Presidente della Società Meteorologica Italiana, che cita i dati di auteroveli fonti scientifiche.
Il 2020 è stato l’anno più caldo della storia. In zona alpina, un grado in più ha generato la scomparsa di circa il 50% dei ghiacciai. Solo per fare un esempio, abbiamo perso il ghiacciaio del Teleccio sul Gran Paradiso.
Di questo passo, a fine secolo, secondo IPCC (The Intergovernmental Panel on Climate Change), potremmo avere fino a 5 gradi in più, e in Italia visto la sua particolare posizione, anche fino a 8 gradi in più e in estate, la Pianura Padana raggiungerebbe le temperature attuali del Pakistan.