Il mondo della musica piange Raoul Casadei, il re del liscio

Ricordo quella serata come se fosse adesso: Orchestra Spettacolo Raoul Casadei al Palasport di Torino, ottobre 1972.

Frequentavo le medie, e come tutti i poco più che bambini di quell’epoca, alla sera, in settimana, andavo a dormire dopo Carosello, e il massimo della vita notturna, era il guardare il varietà di Raimondo Vianello e Sandra Mondaini il sabato sera sulla RAI, Canzonissima e il Festival di Sanremo.

I miei genitori, figli della guerra e del ventennio, non uscivano mai, non li ho mai visti andare in pizzeria o al ristorante, e ora che ci penso, come racconta il mio amico Giuseppe Povia in “Vorrei avere il becco”, non li ho mai visti baciarsi, o scambiarsi effusioni in genere. Sembra passato un secolo.

Ma quella sera no, quella sera tutto fu diverso: senza preavviso, mio padre, giacca e cravatta, mi disse: “Butte cheicos’ adoss, che n’duma a sente d’la musica”.

A bordo della mitica Fiat 850 azzurrino chiaro, andammo al Palasport, e con somma sorpresa, scoprii che era previsto il concerto dell’Orchestra Spettacolo di Raoul Casadei.

Palasport di Parco Ruffini pieno da scoppiare: famiglie intere, donne sole, all’epoca guardate tutte come delle…si, ci siamo capiti, e tanti “cariùn” con l’immancabile foulard al collo, pronti a buttarsi sulla preda.

C’era anche Mariangela, il mio sogno erotico dell’epoca, bionda e già formata, anzi formatissima, per i suoi undici anni, insieme a mamma, papà e fratellino. Non mi calcolava a scuola, figuriamoci in un contesto del genere: alla prima canzone, c’era già la coda per farla ballare, e non mi degnò di uno sguardo. Da quella sera, ho cancellato le bionde dalla lista dei miei desideri, e non ho mai più cambiato idea.

Orchestra Spettacolo

Non ho mai amato ballare, se non strettamente necessario: ho sempre preferito “far” ballare, dietro un mixer, o dietro una batteria.

Escluso il ballo, mentre i miei genitori per una sera dimenticarono l’aplomb tipicamente sabaudo, mi posizionai di fianco all’orchestra, in modo da avere la batteria in primo piano, e mai scelta fu più azzeccata.

Rimasi sconvolto e impressionato: una “band” come si direbbe adesso, da paura. Musicisti dalla tecnica impressionante, virtuosi, perfetti nella ritmica e negli assoli, fra cui Lorenzo Vallicelli (“Renzo il rosso”) al clarinetto e Sauro Rocchi (“la Grinta”) alla batteria, naturalmente.

E naturalmente lui: piccolo, esuberante, a fare giusto la chitarra ritmica, ma catalizzatore assoluto dello show. Un genio, a modo suo.

Beh, le canzoni potevano piacere o non piacere, non è questo il punto, ma suonate dal vivo, con tutta quella gente che ballava felice, aveva un suo fascino: “Ciao mare”, “Romagna e Sangiovese”, “La mazurka di periferia”, tra le altre, sono comunque diventati classici della nostra storia musicale, e classici da eseguire obbligatoriamente, per tutte le orchestre di liscio, di lì a venire.

Senza dimenticare il capolavoro “Romagna mia”, scritta dallo zio Secondo.

Raoul Casadei: il ricordo di Andrea Mingardi

Il blues man bolognese, mio mentore, ha scritto oggi su Facebook, un commovente ricordo di Raoul Casadei, che descrive perfettamente la figura del musicista romagnolo:Se Raoul non lo si poteva definire il più grande chitarrista del mondo era però un genio. Secondo aveva composto quel monumento riconosciuto da tutti il mondo che è “Romagna mia”, ma è stato Raoul ad aver capito il significato della “musica solare”, il valore dell’imprinting romagnolo. Quanti musicisti del territorio gli devono tutto. Per imitazione, per concorrenza o per osmosi, ha dato il via a un movimento che ancora oggi esporta, un pensiero, una musica e una cultura.

La “Romagnolità” è un valore che viene portato avanti tramite voglia di vivere insieme e godersi di tutte le cose semplici che offre il territorio. E in questo momento che Raoul è stato costretto a dire veramente “Ciao mare”, ogni minimo dettaglio assurge a pensiero filosofico: la piadina, i mosconi, i bagnini, allo squaquarone, il Sangiovese, la musica all’aperto, la semplicità di canzoni cantate al cielo, la gioia di vivere che trasmette il ballo, il virtuosismo di alcuni solisti e l’aria di festa che comporta incontrarsi in una serata di folklore, al confronto con i cupi rapper del momento, ci arrivano come una boccata d’aria fresca”.

Addio Maestro, e grazie di tutto.

Lele Boccardo
Lele Boccardo
(a.k.a. Giovanni Delbosco) Direttore Responsabile. Critico musicale, opinionista sportivo, pioniere delle radio “libere” torinesi. Autore del romanzo “Un futuro da scrivere insieme” e del thriller “Il rullante insanguinato”. Dice di sè: “Il mio cuore batte a tempo di musica, ma non è un battito normale, è un battito animale. Stare seduto dietro una Ludwig, o in sella alla mia Harley Davidson, non fa differenza, l’importante è che ci sia del ritmo: una cassa, dei piatti, un rullante o un bicilindrico, per me sono la stessa cosa. Un martello pneumatico in quattro: i tempi di un motore che diventano un beat costante. Naturalmente a tinte granata”.