Stefano D’Orazio: “Mi dicono che sono al II° tempo della vita mia…io sto ai supplementari”

Se ne è andato un altro guardiano del Tesoro della Musica. “Mi dicono che sono al secondo tempo della mia vita…no…io sto ai supplementari…bisogna che me sbrigo…“. L’arbitro ha fischiato la fine, e Stefano D’Orazio è rientrato negli spogliatoi, per sempre.

Ci sono persone che fanno parte della tua vita, a prescindere. Ci cresci insieme tra note e parole, e nell’immaginazione collettiva sono ferme nel tempo, immortali e sempre giovani, come le canzoni, quelle belle.

Apprendere della morte di Stefano è stato come il gesso sulla lavagna. Una cosa che stride e che non vuoi sentire.

Da giornalista, sarei dovuto uscire anche io stanotte con la notizia, ma per dire cosa? Che il batterista dei Pooh ci ha lasciato? No. Non ci ha lasciato solo il batterista dei Pooh. Ci ha lasciato un uomo straordinario, nella settimana in cui altri sono mancati altri due uomini straordinari, Sean Connery e Gigi Proietti.

Una settimana di lutto per il cinema, il teatro e adesso anche la musica.

E allora, se dobbiamo ricordare, ricordiamo come è giusto che sia, cosa rimane di Stefano.

Rimane, al di là, nel suo posto nell’Olimpo della storia della musica, il ricordo di un pomeriggio di tarda primavera, un’intervista inaspettata, una persona speciale, lontana anni luce dall’icona della rock star.

Una persona che è stata, è, e sarà, parte della colonna sonora della mia vita. Simpatia trascinante, arguzia tipicamente romana, capace, a microfoni spenti, di darmi dei preziosi consigli, come si fa con un fratello minore. Consigli che non ho dimenticato e che non dimenticherò.

Imperia 2012

La Fiera del Libro di Imperia del 2012 è stata per me un’esperienza indimenticabile. La mia prima esperienza come scrittore, presentavo il mio primo romanzo, “Un futuro da scrivere insieme, e subito dopo di me in cartellone c’era Stefano D’Orazio, già da qualche anno ex batterista dei Pooh, per la presentazione del suo libro “Confesso che ho stonato – una vita da Pooh”.

Alla fine della presentazione mi sono avvicinato per fare i soliti complimenti, ma con mio stupore fu lui a farli a me e a volere il mio libro. Abbiamo cominciato a chiacchierare e i due minuti sono diventati un aperitivo insieme, dove abbiamo anche realizzato un’intervista.

Non potevo crederci…io seduto di fianco ad uno dei musicisti italiani più famosi al mondo…

Stefano D’Orazio, la copertina del libro

Una vita da Pooh

Non è il caso oggi di riproporre tutta l’intervista, ma per ricordare il personaggio Stefano D’Orazio, ho scelto qualche stralcio, dove lui stesso riesce a prendersi in giro, parlando delle sue (in)capacità, della sua vita da Pooh e non solo. Credo che oggi, se c’è qualcuno che può ricordare la vita di Stefano, sia Stefano stesso. Parole che sono frammenti di vita a cui lui era più legato.

La prima domanda che gli feci, era d’obbligo. Aveva lasciato i Pooh da poco e come tutti volevo sapere perchè

Avevo riempito la mia vita di Pooh e nel mio litro di vita non c’è stato spazio per nient’altro fino al giorno in cui ho deciso di svuotare la mia bottiglia e lasciarla riempire di nuovi sapori

Questa è la sintesi un pochino di quella decisione presa in una mattina di settembre o di novembre, non ricordo neanche più, eravamo su un lago nel nostro ritiro che ogni tre anni ci vedeva a far progetti e io li mi sono reso conto che non avevo idee e che tutto quello che potevo aver detto e fatto all’interno del gruppo era tutto quello che potevo tirar fuori da me.

Per cui la voglia di andare a vedere cos’altro c’era al di là dei Pooh, dopo 40 anni, mi ha preso all’improvviso. Tanta gente avrebbe voluto essere al mio posto. Ecco io volevo essere al posto dell’altra gente”.

Una vita a battere il tempo

Stefano era un batterista, anzi, il batterista più famoso d’Italia. Lo sono stato anche io (batterista, intendo). Non è uno strumento comune, come la chitarra. Stefano diventa batterista così.

Vedevo che chi suonava cuccava per cui mi son detto…anch’io suono…e mi son chiesto…che cosa ???…ho detto la batteria perché avevo paura di dire la chitarra perché magari uno la tirava fuori da un cofano o un pianoforte…ce l’ho al piano di sopra…potevo dire l’arpa…però la batteria mi è piaciuta di più…ma…dissero…stiamo giusto cercando un batterista…sfiga per me…

Per cui mi son fatto prestare dei soldi da mia mamma, ho trovato una batteria da uno che faceva night, l’ho ripulita perché era tutta nera ed ho scoperto che invece era bianca e da li ho cominciato a imparare un tempo e con quel tempo ho fatto il provino con questo gruppo che mi aveva cercato. Ho imparato un unico tempo…un-due-tre-ta, un-due-ta-ta, che velocizzavo o rallentavo, a seconda, e quelli mi hanno detto…ma sai che suoni veramente bene…e io cazzo ci ho creduto…

Stefano era anche un flautista, ma quando parlava di se e del flauto la sua battuta era “Ah…dicevano…ma tu suoni il flauto…no !!!…io suono Pierre col flauto!!! Anche col flauto ho fatto finta, perché ho imparato dopo…nel senso che quando…col flauto sapevo solo suonare le cose che suonavo. Quindi, quando facevo una cosa, quella sapevo fare…dice…ma ci fai La Casetta in Canadà…nun ero bbono…” e rideva.

E rideva anche quando ricordava le statue dei Pooh al museo delle cere di Roma.

“La prima volta che ci misero al museo delle cere con i Pooh, ci misero nella stanza con Garibaldi e Napoleone, di conseguenza quando mi vidi fra quei due mi toccai i coglioni, sempre per parlare in francese, e poi dopo una ventina d’anni ci tolsero perché non assomigliavamo più a noi stessi. Eravamo invecchiati e le statue no”.

Una vita da…musicalaro

Dopo tanti anni di batteria con i Pooh, non era facile reinventarsi. Riempire quel bicchiere svuotato ed essere solo Stefano. Gli ricordai che, all’epoca, la battuta più famosa era “se Stefano D’Orazio lascia i Pooh, non ci si deve stupire se si dimette il Papa”.

Anche qui, la sua ironia fu disarmante e mi rispose:” Guarda, nella vita volevo fare l’astronauta, il Papa e il pompiere…ero partito facile…il Papa nun lo posso più fa…anche se come limiti di età potrei, ma bisogna fare un sacco di cose prima… …infatti…sai che mi hanno fatto nà cosa…D’Orazinger…perché ero andato via dai Pooh…giuro…addirittura tra le promesse di Berlusconi, oltre a togliere l’Imu c’era…restituiremo D’Orazio ai Pooh!

Finito l’aperitivo, fremevo di sapere i suoi progetti futuri, capire qualcosa che gli altri ancora non sapessero. Ma anche qui, la risposta fu “alla D’Orazio”.

Guarda, per adesso sto facendo il musicalaro di professione e si sta riempiendo di nuovo. Sono tentatissimo di svuotarla un’altra volta, della serie per andare a vedere cos’altro c’è. Non lo so, o mi viene una folgorazione di qualche cosa che mi dia la sensazione di venirmi bene e allora magari l’abbraccerò…però fare le cose tanto per farle o perché le ho viste fare…magari anche no…sai, anche perché qualcuno mi dice che non devo dimostrare più niente…evvivaddio…

Dopo 64 anni di onorata attività dove ho fatto tutto e il contrario di tutto, nel limitato mondo di quello che io andavo facendo, posso anche pensare di andare a raccogliere i capperi, come racconto di voler fare appena uscito dal gruppo. Ma poi mi sono reso conto che i capperi si raccolgono in venti giorni…la domanda è…e gli altri 11 mesi che cazzo faccio…???

Ciao Stè, e cerca di stare a tempo, anche lassù.

Lele Boccardo
Lele Boccardo
(a.k.a. Giovanni Delbosco) Direttore Responsabile. Critico musicale, opinionista sportivo, pioniere delle radio “libere” torinesi. Autore del romanzo “Un futuro da scrivere insieme” e del thriller “Il rullante insanguinato”. Dice di sè: “Il mio cuore batte a tempo di musica, ma non è un battito normale, è un battito animale. Stare seduto dietro una Ludwig, o in sella alla mia Harley Davidson, non fa differenza, l’importante è che ci sia del ritmo: una cassa, dei piatti, un rullante o un bicilindrico, per me sono la stessa cosa. Un martello pneumatico in quattro: i tempi di un motore che diventano un beat costante. Naturalmente a tinte granata”.