La canzone di Colapesce e Dimartino: una cura senza tempo

La canzone di Colapesce e Dimartino: una cura senza tempo

I suoni arrivano lenti, fastidiosi, il volume dà fastidio e si dipingono sulla confusione degli stucchi del soffitto. Si potrebbe spegnere, lasciare stare, ma vuoi rinunciare a Sanremo, almeno al suo audio. La febbre non dà tregua, ti trascina avanti e indietro nel mare del suo disagio e gli stucchi del soffitto diventano di volta in volta onde da scalare o montagne in cui tuffarsi, tra riflessioni, disperazioni, ricordi di una vita che emerge dalla profondità delle cime.

A volte buttata, a volte riemersa. Poi parte un accordo di chitarra improvviso ma costante. E su quel soffitto si apre una parentesi luminosa, che attira, generata da quell’accordo. Uno stargate tra gli stucchi, generata da questa musica stile Matia Bazar, proprio a me doveva capitare? Non importa, allargo le braccia, mi aggrappo al poco fiato che ho. E mi lascio cadere verso l’alto.

Per un’ora d’amore non so cosa farei

Non lo so, me lo sono chiesto tante volte, senza riflettere mai sul prezzo da pagare. Dove sono finito? Negli anni ’70? Cosa vedo attorno a me? La fine di un decennio dove le radio libere eiettavano canzoni che si incastravano in amori melodici e romantici ma mai banali? In quale giardino sono stato portato? In quello dei Semplici?

No, c’è di più. Le parole della canzone arrivano sempre più da lontano e parlano di qualcuno che cresce. Mi rivedo bambino in quegli anni, le cose ordinate e con un senso. Poi però qualcosa è cambiato. Diventare adulti è stato un crescendo di violini e guai. E il maestro è andato via. E allora che suoni questa musica che porta a un presente lontano o a un passato futuro, senza tempo. Perché è quello che ho voglia di sentire, che non mi dia una spiegazione, ma che mi permetta di unire le cose, di ricordarle, di sentirmi a casa e di sfuggire al buco nero di questa febbre maledetta.

colapesce di spalle e dimartino di facciA SUL PALCO DEL TEATRO ARISTON
Colapesce e Dimartino sul palco del teatro Ariston di Sanremo

Quanto eravamo spensierati quando bastava una canzone fatta di niente per farci felici?

Prima di sprofondare nel vuoto del nostro cinismo dentro al quale ci siamo rinchiusi? Ma poi è vero che questa canzone stia risuonando dal passato? O da dentro? Nel nome di un Dio che non esce fuori col temporale. Da quale disperazione? Oppure è il presente che mi spinge ad allungare le braccia verso l’alto e a darmi la forza di cantare senza chiedermi il perché o il per come? O un possibile futuro?

Perché ho voglia di niente

Che suoni allora questa canzone, in questo silenzio assordante di confusione. Che ha risuonato tante volte nei saliscendi della vita, in una festa di merda, in una emozione gettata via, che ci ricorda le cose lasciate cadere nello spazio della nostra indifferenza animale.

Che suoni e ci ricordi quanto fossimo semplici e spensierati prima di diventare indifferenti. Perché tra tante vicende e volti forse è stata l’unica cosa che ha avuto veramente un senso, il collante tra fallimenti e buchi neri, l’attesa tra un viaggio e latro, quando non c’era una spiegazione da dare o da chiedere. Mettila questa musica leggera, e che suoni a volontà, nel nostro ballo in maschera senza tempo.

La finestra è ancora lì, che lampeggia tra gli stucchi. E’ fatta di niente ma è quello di cui ho voglia per resistere. E’ spero dia la forza anche a chi non può sentirla, ma ne avrebbe tanto bisogno per aggrapparcisi. In tempi di Covid anche una canzone fatta di niente, come quella di Colapesce e Dimartino, può essere la Cura per non cadere nel buco nero, che è ad un passo da noi. Più o meno.

Mauro Saglietti
Mauro Saglietti
Mauro Saglietti nasce a Torino il 25 maggio 1968, già appassionato di musica. Troppo piccolo per andare a Woodstock l’anno seguente, nonostante i suoi ripetuti strilli in tal senso, tenta comunque di imbarcarsi su di un volo intercontinentale, ma la statura e l’andatura tremolante lo tradiscono. Trascorre con inconsapevole disinvoltura gli anni dell’adolescenza attraverso la Guerra Fredda e la paura dell’atomica, gli anni della tempesta ormonale attraverso la paura dell’AIDS e gli anni del lavoro attraverso crisi economiche di ogni portata. Appassionato di montagna, del Toro di una volta e di scrittura, ha pubblicato tre romanzi: Hurricanes, ballammo una sola estate (2006), 3 minuti e 40 secondi (2016) e Paradise (2019). Primo in classifica con larga distanza sul secondo su Marte, Giove e Urano. Qualche difficoltà di affermazione soltanto sul pianeta Terra.