Coronavirus: il “modello italiano” e il resto del mondo.

Molti Paesi si sono affidati per l’emergenza Coronavirus al modello italiano. Altri hanno scelto linee più morbide. I pro e i contro.

In questi giorni di emergenza il mainstream non fa altro che ripetere che l’Italia è un modello. Che tutti i governi del mondo ci stanno seguendo sulla strada del lockdown, con la chiusura di scuole, uffici, fabbriche, parchi e luoghi pubblici, adottando norme sempre più stringenti. 

In Italia siamo innegabilmente i primi. Primi per contagi (secondi solo alla Spagna da qualche giorno) e primi per decessi. Un primato che accende i riflettori sul nostro Paese ma di cui faremmo volentieri a meno, considerando anche l’impatto negativo che avrà sulle nostre vite e sulla nostra economia. La domanda di tutti nel mondo è: com’è possibile che l’Italia abbia così tanti casi, con una mortalità così alta? Ma anche, com’è possibile che l’Italia abbia adottato misure draconiane senza batter ciglio? Si parla sì di misure draconiane perché con i provvedimenti di marzo siamo arrivati molto vicini al “modello Cina”, quello del lockdown totale.

Dicono di noi…

Da qui non sono mancate le citazioni dei leader stranieri e le prime pagine dei giornali internazionali. L’Economist non perde occasione di sottolineare il peggio di noi e intitola: “All’italiana” e non “modello italiano”, tipica espressione negativa per indicare qualcosa fatta “alla carlona”. Molti altri Paesi guardano invece al modello italiano con ammirazione sincera e lo usano per fare le pulci alle giravolte e alle contraddizioni dei propri governi.

Perché tanta ammirazione per una versione ispirata al modello cinese? L’Europa è fatta di Paesi democratici, industrializzati e popolosi. Come possiamo seguire l’esempio di un regime che limita ulteriormente le libertà individuali?

L’adozione di misure pesanti con strumenti di controllo capillare vanno dai tradizionali comitati di quartiere alle più avanzate tecnologie biometriche. La Cina è un paese con una storica tradizione basata sulla disciplina e sull’ordine sociale. Noi siamo diversi, molto diversi.

Coronavirus: il “modello italiano” e il resto del mondo – articolo dell’Economist

Un Paese messo alla prova

Le misure da regime possono funzionare in un Paese democratico?

L’Italia ha dimostrato contro ogni aspettativa una straordinaria fiducia nelle istituzioni facendo riaffiorare lo storico spirito di solidarietà, direi quasi partigiana, contrariamente al modello sociale individualista che si è affermata nel corso degli ultimi secoli. Per questo siamo il modello da studiare e da seguire.

Non possiamo nascondere un lieve orgoglio, che sarebbe più convinto se il numero dei contagi nei prossimi giorni ci assicurasse che il modello funziona, che i sacrifici siano serviti a qualcosa. Saremmo più tranquilli se i numeri in calo portassero speranza in un Paese sospeso e troppo impaurito. Mentre aspettiamo con fiducia, ci basterebbe una certezza immediata su altri numeri, ad esempio quello delle mascherine che scarseggiano e a breve saranno obbligatorie. Certezze sui fondi raccolti, certezze sugli aiuti concreti.

Orgoglio italiano?

Tutta questa attenzione nei nostri confronti ci rende orgogliosi. In barba alla nostra leggendaria reputazione di non saper nemmeno rispettare una fila al supermercato, siamo stati bravi a seguire le regole imposte dall’emergenza Coronavirus e il modello italiano è il vanto dei nostri rappresentanti istituzionali. Ogni volta che un Paese straniero ci imita ed entra nella grande famiglia del lockdown parte una specie di esaltazione collettiva, dandogli il benvenuto nella parte “giusta”.

I Paesi non allineati vengono invece accusati di follia, come se fossero indifferenti alla salute dei cittadini. E non appena si registra un picco nei decessi parte il coro: “noi ve l’avevamo detto!”. Ma questo “mezzo gaudio nel mal comune” a cosa serve? Questa continua fame di ragione e di conferme internazionali ci fa sentire meglio, oppure cela una profonda insicurezza? Dovremmo ben sapere che le situazioni dei vari Stati non sono per nulla paragonabili. Ci sono tanti fattori che ci differenziano: i sistemi sanitari, la demografia, le risorse, il sistema giuridico, la mentalità ma anche il clima e il tasso di inquinamento. 

Il modello italiano

Diversi studiosi ed esperti di settore hanno preso in analisi la risposta dei vari Paesi alla crisi mondiale da Covid-19. Ciò porta a una riflessione che apre degli squarci non solo su come è ma anche su come potrà essere il rapporto tra Stato e cittadini. (fonte The Guardian). Alla luce di questo, è interessante verificare più da vicino se per l’emergenza Coronavirus il modello italiano è stato davvero imitato in tutto il mondo e quali sono le principali differenze. Si scopre che certe regole non dipendono tanto, o non solo, dai livelli di contagio o dalle abitudini di un Paese, quanto più da una diversa interpretazione di ciò che è salutare e ciò che non lo è in presenza del virus. Facciamo una panoramica globale senza pretese di scientificità, solo per farci un’idea.

Le varie reazioni al coronavirus nel mondo 

La pandemia si modella rispecchiando la singola logica nazionale. Al momento in Europa il modello Italia sembrava che stesse spopolando soltanto in Spagna, ma è stato appena annunciato che dal 9 maggio l’idea del governo è quella di far uscire gli over 65. La riapertura procederà a geometrie variabili a seconda della situazione delle varie zone. In quasi tutti i Paesi è previsto un allentamento delle misure che auspica un ritorno alla normalità.

Anche in Francia ci sono le sanzioni (meno salate) e l’obbligo di esibire l’autocertificazione, ma c’è molta più libertà per le attività all’aperto, anche insieme alla famiglia. Si può stare fuori fino un’ora al giorno nel raggio di un chilometro. In Germania, complice un sistema sanitario ben più efficiente, sei pazienti affetti da Covid-19 su sette sono stati trattati ambulatorialmente. Le scene drammatiche viste nei pronto soccorso e nelle terapie intensive d’Italia, in Germania non si sono verificate. Men che mai le immagini apocalittiche dei blindati che portano le bare in un corteo funebre. La Germania è stata molto rapida a indicare agli ospedali e alle cliniche la necessità di creare reparti appositi per malati da coronavirus, separandoli immediatamente dagli altri pazienti, riducendo le infezioni e il numero dei decessi.

Il divieto di passeggiata e di fare jogging come imposto in Italia non si riscontra quasi da nessuna parte. Del resto, ricordiamo che la stessa OMS dice che passeggiare e muoversi all’aperto aiuta a combattere l’epidemia. Inoltre, al posto delle sanzioni, nel resto del mondo si limitano a seguire semplici raccomandazioni. In altri Stati invece se la stanno passando male. Alcuni leader come Bolsonaro in Brasile, Orbàn in Ungheria e Erdoğan in Turchia sono impegnati a sfruttare la pandemia per consolidare ulteriormente il loro governo autoritario. Cosa non si farebbe per distruggere il liberalismo e la democrazia.

I modelli che hanno fatto la differenza

Un modello poco conosciuto ma degno di nota è quello del Vietnam, uno dei Paesi più popolosi al mondo, che confina con la Cina. Ad oggi sono stati confermati 270 casi di Covid-19, con circa 225 guariti e nessun decesso (fonte COVID-19 Visualizer). Anche l’OMS ha sottolineato il successo del Vietnam nell’arginare il virus. In molti si chiederanno come un Paese con risorse precarie e un sistema sanitario debole abbia potuto gestire con successo la pandemia. In primis, sono intervenuti subito per marginare il problema, concentrandosi sulla valutazione precoce del rischio. Inoltre, qui possono contare su una comunicazione efficace e sulla collaborazione tra governo e cittadino.

Tornando in Europa, il modello Svezia è stato quello più discusso. Ma nonostante le critiche questo Paese va per la sua strada, aggrappandosi ai loro principi e alla difesa dei diritti civili. La Svezia opta per un approccio più “morbido”. Nessun lockdown, ci si regola autonomamente rispettando il distanziamento sociale. Ai cittadini è stato chiesto di usare il loro giudizio e di assumersi la responsabilità individuale basata sulla fiducia reciproca, invece che sul controllo da parte delle istituzioni. 

I pro e i contro del lockdown

Il blocco totale non è solo una questione legata a salvare vite umane, ma mira anche a mitigare il carico di lavoro negli ospedali già sovraffollati. Al di là del dibattito sulla salute a discapito dell’economia, c’è da considerare che questo comporta enormi costi per il tessuto sociale. Il lockdown non risparmia nessuno, dalle classi medio-alte che dispongono di risorse economiche e case confortevoli, ai meno abbienti che invece vivono una situazione di alta criticità.

Inoltre, quanto incide a livello psicologico privare i bambini dello sport e della vita sociale lasciandoli in balia della tv, dei social network e dei videogiochi? Il percorso scelto per la tutela e la sicurezza dei cittadini sta creando effetti collaterali non solo sul sistema sanitario ma anche economico. Come ne usciremo? Facendo appello al senso di responsabilità individuale, avremmo potuto autoregolamentarci seguendo chiare regole dettate dal Governo? Il modello svedese in Italia avrebbe funzionato? Quanto sono state efficaci le misure giudiziarie applicate, nello specifico multe e arresti?

Come essere cittadini migliori

La pandemia si sta rivelando un enorme stress test per tutti i paesi coinvolti, un test psicologico che mette in evidenza le varie strutture sociali. Le differenze di abitudini e di valori che in condizioni normali sembrano parzialmente nascoste da mode e tendenze globali, vengono improvvisamente alla luce. L’idea di una soluzione unica per tutti i Paesi può essere reale o è solo un’utopia? Secondo lo storico svedese Sörlin sarebbe saggio rispettare i cittadini come esseri responsabili, considerando anche i loro limiti ma trattarli in egual modo nei loro diritti e responsabilità. Questo potrebbe essere un modo per sviluppare il senso di comunità e di solidarietà. Sempre secondo Sörlin solo così si incoraggia la fiducia reciproca tra i cittadini e tra i cittadini e Stato. Ma noi Italiani, siamo pronti a essere cittadini migliori?

Silvia Mezzanotte canta messaggio d'amore. nella foto il logo "io resto a casa" predisposto dal ministero dell'interno
Coronavirus: il “modello italiano” e il resto del mondo.
Maria Grazia De Luca
Maria Grazia De Luca
Laureata in Lingue e Letterature Straniere con un Master in Traduzione e personal trainer a tempo perso. Appassionata di viaggi e sport all'aria aperta. Amo girare il mondo ma più che una viaggiatrice mi piace definirmi una VISITATRICE, MGVISITOR infatti è il nome del mio blog. Quando mi trovo in un posto nuovo immagino di essere un’ALIENA appena arrivata sulla Terra, che osserva con interesse e curiosità tutto ciò che è attorno, che vuole imparare il più possibile da questa stravagante ma bellissima civiltà. Vado a caccia di emozioni, visito luoghi che pochi conoscono, amo vedere gli animali nel loro habitat, parlare con le persone, mangiare insieme a loro e conoscere le loro storie perché penso fermamente che l’umanità, in fondo, non sia una brutta specie. CULTURA, CIBO e NATURA: queste sono le tre parole chiave, i tre elementi fondamentali per vivere un viaggio! Nonostante mi senta, a volte, un extraterrestre, mi impegno a restare “umana”. “Stay Human”