Il trifoglio fibrino, la più elegante fra le piante palustri, per festeggiare il Saint Patrick’s Day

Il trifoglio fibrino: continua il mistero della pianta scelta da san Patrizio

Il trifoglio fibrino è per noi il sospettato ideale. Per che cosa? Ricordate? Ve lo avevamo già anticipato lo scorso anno, proprio in questi giorni, perché il 17 marzo cade la festa liturgica di san Patrizio, patrono d’Irlanda. Nell’articolo di un anno fa vi avevamo presentato il trifoglio vero e proprio (quello classificato con il nome latino di Trifolium repens L.). Ma avevamo anche aggiunto che, a distanza di un millennio e mezzo, c’è ancora un curioso enigma da chiarire.

Il trifoglio e la spiegazione della Santa Trinità

Si ignora, infatti, quale sia stata realmente la pianta con cui il vescovo Pádraig spiegò ai fedeli il mistero della Santa Trinità. Per quanto grazioso, il Trifolium repens, che è quello più utilizzato in Irlanda quale simbolo del Saint Patrick’s Day, ha un grave difetto: è piccino! Torniamo per un attimo al V secolo, quando Patrizio, presso la piana di Cashel, tentò di spiegare a una moltitudine di persone il Dio Uno e Trino. Per quanti sforzi compisse, la gente non comprendeva come fosse possibile. Non capivano neppure le principesse Eithne e Fedein, figlie del re Laoghaire, giunte apposta dalla Corte di Tara per ascoltarlo. La tradizione vuole che, allora, il santo vescovo abbia colto un trifoglio e mostrato a tutti che era unico ma diviso in tre identiche foglioline. Ciò che era ben visibile in natura, a maggior ragione poteva essere attribuito alla Trinità.

le tre foglioline verde oliva del trifoglio fibrino

Il dubbio sorge immaginando questa scena, con il vescovo Pádraig che solleva un minuscolo trifoglio del diametro di un paio di centimetri: come avrebbero potuto vederlo, da lontano? No, prima che fossero inventati i maxischermi, ci voleva per forza una foglia assai più grande e comunque tripartita. Il trifoglio fibrino ha queste caratteristiche, ed essendo comune in Irlanda perché è una pianta palustre, è sempre stato piuttosto facile da reperire. A parer nostro, dunque, il trifoglio di san Patrizio, divenuto poi nei secoli successivi l’emblema dell’Irlanda cattolica, era in realtà un trifoglio fibrino.

illustrazione da erbario del trifoglio

La campanula del papero, segreto di longevità

In Irlanda, il trifoglio fibrino è chiamato in lingua gaelica bearnán lachan, che significa “campanula del papero”. In inglese, è invece detto bogbean, ossia “fagiolo di palude”. In ogni caso, è trapiantato di frequente nei giardini, sia perché è una specie di rara bellezza sia perché è curativo. Sin dal Medioevo, nell’Isola di Smerando, è apprezzato per le sue virtù medicinali, come erba che guarisce lo scorbuto, lenisce le vesciche e purifica il sangue.

trifoglio pianta lacustre in una palude con cielo azzurro e terso

A chi lo beve al posto del tè, secondo gli irlandesi, garantisce una lunga vita e una vecchiaia lucida e senza acciacchi. Essendo un’erba amara (è della stessa famiglia della genziana) si usava per aromatizzare la birra al posto del luppolo. Dall’altra parte del Mare d’Irlanda, al contrario, in diverse contee inglesi i contadini se lo fumavano nella pipa al posto del tabacco. La sua eleganza colpì il botanico britannico William Curtis (XVIII secolo) che si stupiva che “sprecasse nell’aria deserta la sua bellezza”. D’altronde le paludi sono poco frequentate e non è da tutti ammirare lo splendido trifoglio fibrino.

immagine di fiori suggestiva su fondo nero

La più elegante tra le piante palustri

Difficilmente si trova in Europa una pianta acquatica altrettanto sontuosa, tipica dei terreni umidi, delle brughiere e delle sponde dei corsi d’acqua. Pur essendo senz’altro autoctona, ha il fascino di una specie esotica. È stata catalogata come Menyanthes trifoliata L. e appartiene alla famiglia botanica delle Genzianacee, sebbene alcuni studiosi tendano a creare per lei una famiglia apposita. In questo caso, farebbe parte delle omonime Meniantacee.

È perenne, ha un lungo rizoma e ha fusti aerei e fusti subacquei. Questi ultimi sono striscianti e colonizzano in orizzontale gli stagni per vasta estensione. I fusti aerei, alti una trentina di centimetri, sono invece eretti e glabri, circondati da una guaina costituita dalle basi dei piccioli che sorreggono le singole foglie. Ognuna di esse è formata da tre foglioline di pari dimensioni, quasi sessili, ovate e dal bordo un poco ondulato. I fiori bianco-rosati, che sbocciano tra aprile e giugno, sono composti da 5 petali cotonosi, provvisti di peli evidenti, che li rendono simili al pizzo. Sono riuniti in un’infiorescenza a racemo. Il frutto è pressoché sferico, sormontato da un solo stilo, ed è una capsula bivalve che contiene numerosi semini lenticolari, di colore giallo lucido.

fiori di trifoglio fibrino bianchissimi e molto decorati come pizzi

Le ottime proprietà di un’erba molto amara

Il trifoglio fibrino compare già sugli erbari di inizio XVIII secolo quale droga medicinale per contrastare scorbuto, tosse, disturbi epatici e calcoli renali. Il medico olandese Herman Boerhaave, sempre nel XVIII secolo, affermava di averne provato su sé stesso gli effetti benefici nella cura della gotta.

frutti del trifoglio
frutti del trifoglio fibrino

L’intera pianta contiene come principi attivi diverse sostanze amare, come il glucoside meniantina, l’alcaloide genzianina, la meliatina e il meniantolo. Da qui derivano proprietà che fanno di questa specie un ottimo tonico generale nelle convalescenze e in situazioni di debilitazione. È anche digestivo, aperitivo, eupeptico (quando si soffre di inappetenza), depurativo, antianemico, blando lassativo, febbrifugo, antiscorbutico e vermifugo. Lenisce le emicranie da cattiva digestione, ha un’azione positiva su reumatismi e gotta, giova in caso di dermatosi ed eczemi e facilita il flusso mestruale.

il trifoglio visto dal fusto nel terrreno

L’infuso può sostituire il tè e si può bere lungo la giornata o dopo i pasti, come una bevanda calda digestiva. Si prepara ponendo in mezzo litro d’acqua fredda due cucchiai rasi di droga. Si porta a bollore e si spegne. Si lascia riposare sotto coperchio per una decina di minuti. Poi si filtra e si dolcifica a piacere. Purtroppo è un’erba molto amara, sebbene sia un amaro gradevole, simile a quello della genziana. I più coraggiosi ne trarranno senz’altro beneficio. Nel 1903, infatti, il dottor Lehameau scrisse di aver riscontrato più di un centenario tra i suoi pazienti che ne bevevano una tazza al giorno. E ciò coincide con il segreto di longevità che gli antichi irlandesi attribuivano al trifoglio delle paludi, tanto elegante da ispirare persino san Patrizio.

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Maura Maffei
Maura Maffei
Maura Maffei è da trent’anni autrice di romanzi storici ambientati in Irlanda, con 17 pubblicazioni all’attivo, in Italia e all’estero: è tra i pochi autori italiani a essere tradotti in gaelico d’Irlanda (“An Fealltóir”, Coisceim, Dublino, 1999). Ha vinto numerosi premi a livello nazionale e internazionale, tra i quali ci tiene a ricordare il primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale San Domenichino – Città di Massa, con il romanzo “La Sinfonia del Vento” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2017) e il primo premio Sezione Romanzo Storico al Rotary Bormio Contea2019, con il romanzo “Quel che abisso tace” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2019). È a sua volta attualmente membro della Giuria del Premio Letterario “Lorenzo Alessandri”. Il suo romanzo più recente è “Quel che onda divide” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza 2022) che, come il precedente “Quel che abisso tace”, narra ai lettori il dramma degli emigrati italiani nel Regno Unito, dopo la dichiarazione di Mussolini alla Gran Bretagna, e in particolare l’affondamento dell’Arandora Star, avvenuto il 2 luglio 1940, al largo delle coste irlandesi. In questa tragedia morirono da innocenti 446 nostri connazionali internati civili che, purtroppo, a distanza di più di ottant’anni, non sono ancora menzionati sui libri di storia. Ha frequentato il corso di Erboristeria presso la Facoltà di Farmacia di Urbino, conseguendo la massima votazione e la lode. È anche soprano lirico, con un diploma di compimento in Conservatorio. Ama dipingere, ha una vasta collezione di giochi di società e un’altrettanto vasta cineteca. È appassionata di vecchi film di Hollywood, quelli che si giravano tra gli Anni Trenta e gli Anni Sessanta del secolo scorso. Tra i registi di allora, adora Hawks, Leisen e Capra. Mette sempre la famiglia al primo posto, moglie di Paolo dal 1994 e madre di Maria Eloisa.