Una storia d’altri tempi: “Come cambia lo sguardo”, la storia di Susanna Trippa

Intervista con l’autrice di “come cambia lo sguardo – gli inganni del Sessantotto”

La scuola insegna molto la storia antica e poco la storia contemporanea. Raramente si ha il tempo di insegnare i grandi momenti della storia del Novecento, saltando quasi completamente quella che è stata la storia italiana degli ultimi 40 anni, pur tanto siano trattati nei libri scolastici. Chissà perché non “troviamo il tempo” di insegnare, attraverso la scuola, gli eventi che hanno determinato questi anni a livello sociale e storico. Così le nuove generazioni, non hanno conoscenza di un periodo fondamentale della storia italiana, periodo che però ha determinato la società di oggi.

Testimone del tempo

La memoria di quegli anni è ancora viva e presente nei testimoni di un’epoca che ha tracciato e definito quel futuro che oggi è il nostro presente.

Questa è la narrazione di un periodo storico importante, visto con gli occhi di una bambina nata negli anni ’50, diventata donna negli anni ’60 e ’70, attraverso le sue esperienze personali.  Una sorta di autobiografia di chi c’era, ha visto e di come quegli anni hanno influenzato la sua esistenza-essenza.

Questa è la storia di Susanna Trippa.

Intervista con Susanna Trippa

Per avere un occhio storico devi avere un po’ di lontananza da quello che è successo. Nella scuola, si fa, comunque, e spesso, politica tra virgolette. Credo che, più che esserci una mancanza di guardare con una lettura storica agli ultimi quaranta, cinquant’anni, ci sia il problema di decodificare quella che è una lettura che sembra inamovibile, di com’è fatta la storia. Ad esempio, i partigiani, l’antifascismo…

Ci sono dei punti storici che sembrano intoccabili, in cui non si possono andare a fare delle domande, dove non vengono fatte delle ricerche, malgrado siano stati aperti tanti archivi, e farsi delle idee un po’ diverse rispetto alle versioni ufficiali. Penso che ci siano delle forti resistenze anche nello stabilire cosa debba essere insegnato a scuola sull’ultimo periodo e il Novecento.

Cos’è per lei il Sessantotto, come lo racconterebbe ad uno studente, ad un giovane di oggi?

Il Sessantotto, per noi che eravamo giovani allora, sono stati anni che sconvolgevano. Io ero a Bologna, si immagini La cosa bella è che si avevano degli ideali, non si era amorfi, e si credeva che si potessero incarnare in questo esperimento che all’inizio non era politico. Derivava dalla contestazione globale, era più ampio come respiro, solo dopo è stato inglobato nella politica ed ha assunto questa faccia di sinistra. Per certi versi è stato bello ma, per altri, destabilizzante.

Oggi, la mia grande raccomandazione è: cercate di stare attenti alle trappole. Rivisto oggi, quel periodo, noi che abbiamo creduto in determinate cose in quegli anni, in determinati ideali, siamo caduti, con tutti e due i piedi, in determinate trappole che ci stavano ponendo, a livello politico.

I cassettini della memoria

Primo piano in bianco e nero di Susanna Trippa, sorridente, autrice del romanzo "come cambia lo sguardo", dove racconta la storia del '68

“Come cambia lo sguardo” è composto da due parti molto diverse tra loro. Una parte “spontanea”, parla di me bambina e si sviluppa fino a me trentenne. Va dagli anni ’50 agli anni ’70, gli anni di piombo, con dei periodi storici che mutano profondamente, e sono contemporanei a quella che è la formazione che va da bambina a donna. E’ un’autobiografia molto spontanea, non studiata a tavolino, assolutamente no. Ho lasciato che liberamente si aprissero questi cassetti della memoria ed ho scritto.

Quando ho riletto il manoscritto, ho visto che sotto sotto c’era questa parte, molto più razionale, di collegamento tra quello che potevano a essere le responsabilità del Sessantotto di allora con gli accadimenti attuali.

E quelle sono le riflessioni iniziali che ho scritto dopo, in seguito.

Leggendo tutta la parte spontanea, gli anni ’50, il boom economico e, dopo, il ‘68, secondo me si vede che con il ‘68 abbiamo avuto la smania di “buttare il bambino con l’ acqua sporca”. Cioè, tutti quegli anni dal primo dopo guerra alla fine degli anni ’60, con la laboriosità di quegli anni, senza la fretta dei nostri giorni, li abbiamo buttati via, e adesso, dovremmo recuperare ed essere orgogliosi di essere italiani. Ci sentiamo affossati perché ci hanno affossati con lotte politiche europee.

Che eredità ci lascia il Sessantotto

La cosa che io salvo del ’68, ripensandoci attualmente, è lo slogan “il personale politico”. Il fatto di guardarsi dentro, di diventare più consapevoli, di guardare alla qualità dei rapporti, per me c’è stata molta presunzione. Si poteva guardare con più umiltà ai vari maestri del passato, a tutti vari tipi di spiritualità che potavano insegnarci tanto, ma tutto è stato preso con troppa superficialità. Questo lo considero uno spunto, e un altro spunto è il femminismo.

Il nemico di oggi?

Purtroppo, ai giovani d’oggi viene chiesto solo più di consumare e di stare inebetiti davanti ad un telefonino…La speranza è che si inventino delle cose nuove, che vedano l’ecologia in modo intelligente, non come l’assurdità di Greta, recuperare degli spazi e andare contro questo globalismo esasperato.

Susanna trippa, scrittrice

Cosa l’ha portata ed essere scrittrice e a testimoniare con la penna quanto di suo, di quegli anni, ha nel cuore?

Io ho iniziato a scrivere una ventina di anni fa, quando è iniziata la seconda parte della mia vita, quando mi sono separata e sono andata a vivere in collina. La scrittura è sempre stata “sotto”. Ho cominciato ascrivere il mio primo libro, “I racconti di casaLouet”, che è la casa dove vivo ed è anche la copertina del libro. Ho scritto anche un romanzo, ” Il viaggio di una stella” (disponibile su Amazon n.d.r.), che non c’entra nulla con queste tematiche e si rifà forse ad una mia vita passata.

Io credo nella reincarnazione e ho ambientato il mio romanzo presso gli antichi Inca. Parla della precessione degli equinozi, della spiritualità dei sacrifici dei ragazzi, e sarà ripubblicato a breve. Un libro un po’ complesso…poi c’è un libro anche questo autobiografico con un titolo ancora provvisorio “Gli animali guidano i nostri cuori”, che conto di pubblicare al più presto.

Gli inganni del Sessantotto

Ormai non è più un segreto: possiamo affermare che sono stati anni di intrighi, inganni e complotti?

Certamente. Anche se all’epoca nessuno l’avrebbe pensato, sono convinta ormai dei vari complottismi. Ho scoperto l’esistenza di questo, come il piano Kalergi, e si sta attuando questo piano. E’ storia. E noi popoli che cerchiamo di resistere siamo come Davide di fronte a Golia. Ormai sono convinta che non sia più una questione di destra e sinistra. Cercano ancora di tenerci ancorati a queste due categorie, a questi finti ideali, ma in realtà è la grande finanza globalizzata, contro il popolo. L’alto contro il basso.

I giovani del ‘68 sono stati giocati dal sistema. La protesta iniziale era di un altro tipo, piano piano è stata inglobata, trasformato in un relativismo totale… Pensiamo agli slogan:“la fantasia al potere” o “uccidete il padre”… Non volete più il padre? Benissimo, quindi diventa tutto relativo. Oltre ad essere stato addirittura preso alla lettera, ha portato all’ indifferenziazione ci ha portato al fatto che se non volete più il padre non volete più un limite, in questo modo è stato tolto il sacro.

C’è stata, quindi, una spersonalizzazione della coscienza?

Guardi, aveva ragione Benedetto XVI a volere che fossero inserite le radici cristiane, al momento della creazione della unione europea, ma non per una questione cattolica, ma per salvaguardare la nostra cultura, la nostra storia, rivendicare cosa siamo e da dove veniamo, la nostra spiritualità al di la della religione. La coscienza divina dell’essere umano.

Cosa possiamo pretendere quindi da questi giovani che si trovano in un deserto arido dove devono solo consumare, stare davanti a un telefonino, non hanno neanche più un lavoro e il più delle volte devono emigrare.

Stessa cosa per le donne, con il femminismo.

Mi serve un assist per la prossima domanda. Come cambia lo sguardo sulla donna da quegli anni ad oggi?

Parto da me. Il femminismo, è servito perché c’erano tante cose da svecchiare nella nostra società, anche se poi siamo andate troppo oltre.

Se penso alle femministe di allora, nella società attuale mi chiedo: ma dove sono le femministe? Non le vedo più. Mi guardo intorno e vedo questa idiozia del #metoo, poi sento dire dalle donne di questa pseudo sinistra, che il velo islamico è una scelta … E poi di fronte alla ragazza pakistana uccisa dal padre o dal fratello…tutte zitte. Io ricordo a Bologna, si facevano le manifestazioni davanti al salone della moto a Bologna, solo perché c’era la ragazza sulla moto e non si doveva strumentalizzare… Erano cose che non si potevano non dire da femministe… E adesso mi stupisco perchè non ne rivengo. Ma come si fa non essere vicine alle donne islamiche che si vogliono liberare da un’oppressione incredibile… Sono queste le lotte da fare oggi.

Mi viene da pensare che queste donne sono condizionate dalla visione della pseudo sinistra, come la chiamo io, perché l’uomo bianco occidentale ha tutte le colpe, basta che sia nero e non ha più nessuna colpa. Sono dei poverini a cui dobbiamo insegnare che qui le ragazze sono diverse e che sarebbe meglio non stuprarle.

una pagina del libro che ritrae una foto di Susanna Trippa, vestita con maglione bianco, con il mento appoggiato sulla mano sinistra. La storia di una ragazza degli anni 70

Come è cambiato lo sguardo che Susanna Trippa ha di se, da quegli anni ad oggi.

Compio 70 anni a fine ottobre, ed è ovvio che come aspetto fisico sceglierei di essere come ero un po’ prima, ma, a parte la battuta… Come persona mi sento molto più consapevole. Tutto quello che accade, riesco molto di più a smontare “le trappoline”, a codificare, e ad avere una visione più consapevole.

 Da ragazza ero molto presa dall’emozionalità. Quegli anni li ho vissuti con molto pathos, emozionale, era tutto bello: la musica, le manifestazioni…oggi direi ai ragazzi “attenzione all’emozionalità, sono trappoline!”. Sia nell’amore che nella politica.

Parlare di musica è parlare della colonna sonora di un contesto storico.

E’ sempre stata molto importante. La musica è ciò che mi richiama ai ricordi, se sento un brano di un momento particolare della mia vita ripiombo immediatamente in quel tempo li.

Nel mio libro parlo molto della musica di quei tempi. Nella prefazione, Maurizio Gussoni ha citato De Andre e Battisti ma, per quel che mi riguarda, io ho citato Guccini perché ho vissuto Bologna in quegli anni li.

Impressioni di Settembre

Per concludere, “Come cambia lo sguardo” è un libro che ho letto tutto d’un fiato, immergendomi nei racconti di quelle domeniche dagli Orsini o del primo incontro con Valentina… Immagini in bianco e nero, cartoline di angoli di strade e di piazze di Bologna che, man man che proseguo nella lettura, si sovrappongono confuse a scorci di Torino, ricordi personali che affiorano dalla memoria della mia infanzia e, accarezzando la mia sciarpa rossa, chiudendo gli occhi riesco persino a sentire il profumo delle mistocchine.

La scrittura è talmente scorrevole da farti perdere la nozione del tempo, la capacità di narrazione così audace, da permetterti l’immedesimazione nella storia, e così che la mente viaggia tra due binari paralleli, il narrato e il vissuto. Da “Una rotonda sul mare” a “Bang bang”, passando per “Speedy Gonzales” rivivi forzatamente ma con piacevole malinconia, il passaggio, o meglio, la conflittualità della musica degli anni ’60, che lasciava un piedino dentro la melodicità classica ma zompettava felice nel rock e nel progressive. Conflitto simbolo di una generazione giovanile, sempre in bilico tra il Sacro e il Profano.

Le lotte studentesche, primo vero segnale di intelligenza politica di giovani in erba (in tutti i sensi), che avevano forti convinzioni di cambiamento. Utopie che prendevano vita e forma in immensi cortei che sfilavano sotto le finestre industriali, “trappole emozionali” che hanno animato discorsi e azioni di anni difficili come quelli di piombo, ma che lo stesso Tempo ha riportato allo stato di utopie.

Ricordi di un tempo che è tanto caro e che mi fa dire ”e ‘l naufragar mi è dolce in questo mare”.

Tina Rossi
Tina Rossi
(a.k.a. Fulvia Andreatta) Editrice. Una, nessuna e centomila, il suo motto è “è meglio fingersi acrobati, che sentirsi dei nani” Dice di sé:” Per attimi rimango sospeso nel vuoto,giuro qualche volta mi sento perduto, io mi fido solo del mio strano istinto, non mi ha mai tradito, non mi sento vinto, volo sul trapezio rischiando ogni giorno, eroe per un minuto e poi...bestia ritorno...poi ancora sul trapezio ad inventare un amore magari...è solo invenzione, per non lasciarsi morire...”