Gli zingari di Caravaggio: la predizione della “Buona Ventura”

Caravaggio non è il primo a dipingere la Buona Ventura, cioè la lettura della mano da parte degli zingari. Il tema ricorre molte volte nell’arte Nord-Europea tra il XV e XVI secolo. Ma Caravaggio inventa qualcosa di nuovo rispetto a ciò che era avvenuto prima. Prima però di andare ad analizzare il tutto sottolineiamo che in questo articolo viene usato e ripetuto il termine di zingari, zingara o zingaro e non usata, invece, l’attuale denominazione Rom, perchè così venivano definiti ( insieme a cingani o zingani ) nel periodo di Caravaggio. E di quel periodo e dipinto l’articolo tratta. La denominazione va quindi inserita nel contesto storico e non è usata in tono dispregiativo.

Caravaggio, dunque, come abbiamo detto, inventa qualcosa di nuovo. Mette insieme nel dipinto la vita reale, ma anche una trasfigurazione o trasposizione teatrale. È appena arrivato a Roma, dopo la sua fuga precipitosa da Milano e dopo la sua tappa a Venezia, dove è abbagliato dalla pittura di Giorgione. A Roma abita senza alcun recapito e senza modo di sostentarsi. Ha bisogno di modelli, ma non li può pagare. Sono infatti gli anni della sua pittura interamente dedicata a fiori e frutti. Ma infine il Merisi si stufa e prende dalla strada ciò che diversamente non riesce ad avere.

La lettura della Buona Ventura

Così il Bellori nel 1672, nella sua “Vita di Michelangelo Amerigi da Caravaggio” descrive. “E per dare autorità alle sue parole, chiamò una zingana che passava a caso per istrada. E condottala all’albergo la ritrasse in atto di predire l’avventure, come sogliono queste donne di razza egiziana. Fecevi un giovine, il quale posa la mano col guanto su la spada e porge l’altra scoperta a costei, che la tiene e la riguarda. Ed in queste due mezze figure tradusse Michele sì puramente il vero che venne a confermare i suoi detti.

Da questo ratto della zingara, Caravaggio crea il suo manifesto , la sua poetica: La buona ventura. Si conoscono due versioni di questo soggetto, probabilmente create, nel 1597, ambedue a poca distanza una dall’altra. Un esemplare, di formato minore che oggi è conservato a Parigi, al Musèe du Louvre, talmente minore da essere giudicato, al momento del suo arrivo a Parigi da GianLorenzo Bernini e dal Cavalier de Chantelou “un pauvre tableau. Sans esprit ni invention“. E un’ altra versione, conservata alla Pinacoteca Capitolina a Roma.

Gli zingari di Caravaggio: la predizione della "Buona Ventura". Due dipinti a confronto in entrambi una zingara con turbante bianco legge la mano a ragazzo vestito bene con cappello con Piuma.
Le due versioni della Buona Ventura a sinistra quella del Louvre e a destra quella della Pinacoteca Capitolina

Una scena di strada.

Entrambi sono dipinti che appartengono alle scene di genere, cioè a rappresentazioni di vita quotidiana e di strada, molto consuete nelle vie del centro di Roma. Vediamo raffigurata una giovane zingara che, con il pretesto di leggere la mano a un giovane benestante, in realtà gli sfila abilmente un anello dal dito. Il sorriso con cui attrae l’attenzione del ragazzo, per distoglierla dalla mano, è un gioiello di sottigliezza psicologica.

Pur trattandosi di un dipinto appartenente al periodo chiaro di Caravaggio, la luce inizia a creare un’atmosfera teatrale e intensa. L’attenzione al dettaglio è altissima. Le pieghe degli abiti, la plissettatura, il velluto, la piuma sono l’evidenza di un’altissima capacità tecnica. Gli orli sporchi delle unghie, inoltre, sono un dettaglio che comparirà più volte nei personaggi popolari del Caravaggio.

Gli zingari di Caravaggio: la predizione della "Buona Ventura". Particolare del dipinto. Mano della zingara mentre con il dito medio sfila l'anello dalla mano del ragazzo.

Il furto dell’anello

Caravaggio, e qui sta la sua modernità, dimostra che per creare un buon dipinto non occorre per forza ispirarsi ai grandi soggetti dei Maestri del passato. Ma è possibile trarre ispirazione anche da soggetti che stanno nei gradini più bassi della scala sociale. L’ opera si fa anche portatotrice di un messaggio simbolico: quello di diffidare del prossimo, anche se si presenta con buoni intenti.

Infatti, ricordiamo che la zingara sta rubando l’anello al ragazzo. Oltretutto non un anello qualunque , ma la fede nuziale. Il furto di questo gioiello non rappresenta, quindi, solo un semplice furto all’ordine del giorno (allora come adesso), per le strade di Roma, ma piuttosto la debolezza di un giovane caduto in tentazione. L’artista inserisce, dunque, un’ulteriore morale nell’opera, probabilmente dovuta al suo legame con il cardinale del Monte. Michelangelo Merisi condanna le persone che vogliono conoscere il proprio futuro, non confidando e non rispettando il disegno divino.

Il dipinto ebbe largo successo e fu imitato da molti caravaggeschi come Vouet, Manfredi, Louis Finsonni. Tutti rappresenteranno a chiromanzia diffusa nei popoli zingari, che tradizionalmente la praticano ancora, con la classica lettura della buona Ventura attraverso le linee della mano.

Bartolomeo Manfredi 1616,la buona Ventura

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Monica Col
Monica Col
Vicedirettore di Zetatielle Magazine e responsabile della sezione Arte. Un lungo passato come cronista de “Il Corriere Rivoli15" e “Luna Nuova”. Ha collaborato alla redazione del “Giornale indipendente di Pianezza", e di vari altri giornali comunali. Premiata in vari concorsi letterari come Piazza Alfieri ( 2018) e Historica ( salone del libro 2019). Cura l’ufficio stampa di Parco Commerciale Dora per la rassegna estiva .Cura dal due anni la promozione della Fondazione Carlo Bossone,. Ha curato per quattro anni l'ufficio stampa del progetto contro la violenza di genere promosso da "Rossoindelebile", e della galleria d’arte “Ambulatorio dell’Arte “. Ha curato l'ufficio stampa e comunicazione del Movimento artistico spontaneo GoArtFactory per tre anni. Ha collaborato come ufficio stampa in determinati eventi del Rotary distretto 2031. Ė Presidente dell 'Associazione di promozione sociale e culturale "Le tre Dimensioni ", che promuove l' arte , la cultura e l'informazione e formazione artistica in collaborazione con le associazioni e istituzioni del territorio. Segue la comunicazione per varie aziende Piemontesi. Dice di sé: “L’arte dello scrivere consiste nel far dimenticare al lettore che ci stiamo servendo di parole. È questo secondo me il significato vero della scrittura. Non parole, ma emozioni. Quando riesci ad arrivare al cuore dei lettori, quando scrivi degli altri ma racconti te stesso, quando racconti il mondo, quando racconti l’uomo. Quando la scrittura non è infilare una parola dietro l’altra in modo armonico, ma creare un’armonia di voci, di sensazioni, di corse attraverso i sentimenti più intensi, attraverso anche la realtà più cruda. Questo per me è il vero significato dello scrivere".