Abbasso gli umani – Quando i robot sono davvero cattivi nei film

Prima ancora di diventare un appassionato di film, già leggevo i racconti di robot di Isaac Asimov fino a consumarne letteralmente le pagine come un invasato.

Continuando a tornare in biblioteca per vivere quelle storie ancora e ancora, la bibliotecaria alla fine mi trovò delle copie di seconda mano tutte per me.

Così investii i pochi soldi della mia paghetta per comprare ogni libro dei tre cicli dello scrittore russo/americano, i Robot, Impero e Fondazione.

Dozzine di racconti indipendenti tra loro, ma legati in un comune emozionante universo. Il tutto per un arco di oltre 20.000 anni dalla nascita dei robot fino al crollo e poi la rinascita dell’Impero Galattico.

Recentemente Apple ha prodotto una serie dai romanzi della Fondazione, sulla quale mi sento solo di stendere un velo pietoso senza aggiungere altro.

Così come vorrei dimenticare Io, robot del 2004, nonostante la simpatia per Will Smith e ancora di più per il regista Alex Proyas, autore del cult horror rock Il Corvo che fu il canto del cigno del compianto Brandon Lee.

A differenza di questo film i robot di Asimov sono invece pacifici e comprensivi. Non a caso, alla fine essi assumono il ruolo di protettori dell’umanità, cercando di correggere gli errori dei loro stupidi ed egoisti padroni.

Oggi comunque parliamo di robot molto malvagi, ai quali sicuramente non può fregare di meno delle famose Tre Leggi di Asimov.

Seppure filosoficamente opposti, nei film con questi robot respiriamo comunque un pò di quell’atmosfera dimenticata che non molti registi riescono sempre a portare sul grande schermo.

Perciò senza ulteriori preamboli, carichiamoci sulle spalle tutte le armi pesanti che possiamo trovare. Vi assicuro che avremo bisogno di ogni singola pallottola per buttare giù questi infidi e implacabili bestioni di metallo.

Kill Command (2016)

Kill Command - 2016 film di robot

Iniziamo con un film di ambientazione industriale/militare, dove in teoria i robot dovrebbero essere solo dei manichini per fare pratica ai soldati.

Un plotone d’elte delle forze speciali si reca in una remota isola che da anni serve per le simulazioni di guerra e sessioni di addestramento.

Assieme a loro viaggia un osservatore speciale che ha il compito di valutare le loro prestazioni e la risposta di adattamento dei robot.

Questa è una giovane ragazza con degli impianti innestati nel cervello per operare a distanza sulle macchine della compagnia.

Una volta atterrati sul posto, il gruppo si trova completamente tagliato fuori dal resto del mondo, in quanto tutte le comunicazioni sembrano fuori uso.

Ciononostante iniziano la loro sessione di addestramento, facendo a pezzi senza troppi problemi i nemici meccanici.

Durante la notte però i robot reagiscono uccidendo brutalmente la ronda di guardia che staziona ai margini del loro accampamento.

Sconvolti dal brutale assassinio, i soldati cercano di tornare al punto di estrazione per lanciare un SOS.

Ma quando arrivano nella zona dove avevano combattuto il giorno prima, trovano un esercito di robot molto più avanzati e pericolosi.

Questi uccidono la gran parte di ciò che resta del plotone, costringendo gli altri a ritirarsi ancora più all’interno dell’isola.

Barricandosi dentro i laboratori, scoprono che questi robot hanno modificato automaticamente il programma di addestramento.

La loro unica speranza diventa allora la ragazza cyborg che può prevedere le mosse dei loro nemici d’acciaio, i quali non hanno intenzione di fermarsi prima di sterminarli tutti.

Niente di nuovo, ma con mestiere ed esperienza

Volendo riassumere Kill Command in una frase, potremmo dire che è un gustoso action fantascientifico a metà strada tra Predator e Terminator.

Non c’è niente di questo film che non abbiamo già visto altrove, eppure è sempre un piacere rivederlo.

Il regista Steven Gomez sfrutta al meglio la sua esperienza negli effetti speciali, realizzando un’ottima atmosfera high-tech con un budget limitato.

Lo stesso vale per le scene d’azione, mai troppo roboanti ma sempre con il ritmo e la scelta giusta per le inquadrature e i movimenti della camera.

Fin dal principio abbiamo un ottima tensione che cresce nella presentazione della location e dei personaggi, per poi esplodere definitivamente dopo la prima mezz’ora.

Ben assortito il gruppo di soldati per questa versione sci-fi di Quella sporca dozzina, con il giovane ma esperto Thure Lindhardt alla testa del plotone.

Questo comandante di poche parole afferra subito quanto è disperata la o situazione, assistendo impotente alla morte dei suoi uomini sotto i colpi dei robot da guerra.

Tra i pochi di cui parlare che sopravvivono per la battaglia finale c’è David Ajala, infallibile cecchino di colore che finge indifferenza di fronte alla morte.

Infine rimarchiamo l’interpretazione migliore per la bella e brava Vanessa Kirby, apparentemente robotica nel comportamento come i loro nemici.

L’attrice non diventa miracolosamente una guerrigliera che imbraccia un fucile alla Rambo, ma resta un credibile ibrido umano/robot a metà strada tra i due schieramenti.

Insomma premetto che non voglio vi aspettiate un film che riscriva la storia dei robot al cinema come Metropolis di Fritz Lang.

Ma per chi cerca un intrattenimento non banale che sia ben scritto, interpretato e diretto, Kill Command è sicuramente roba che fa per voi.

Battle Drone (2018)

Battle Drone - 2018 film di robot

Il secondo film potrebbe sembrare identico al primo, in quanto abbiamo sempre un gruppo di soldati abbandonati nel nulla contro un esercito di robot.

Questa volta sono dei mercenari che fanno dei lavori sporchi per la CIA, come rapire un noto criminale russo nella sua tana personale a Mosca.

Una volta completato l’incarico e consegnato l’ostaggio vengono avvicinati da un loro ex collega, che ora lavora per le grandi corporation e governi internazionali.

L’uomo offre loro un lavoro molto veloce e rischioso, che però è pagato molto al di sopra del loro solito onorario.

Infatti dovranno recarsi nel cuore della vecchia Chernobyl per ritirare un grosso carico di armi illegali, per poi consegnarle ai ribelli ucraini che combattono l’esercito russo.

Certo, colgo anch’io l’ironica coincidenza della trama di un film del 2018 con l’attuale momento geopolitico, ma andiamo avanti.

Dopo aver accettato l’incarico, il manipolo di mercenari si mette in volo sul loro aereo privato. Assieme a loro, come parte dell’accordo, ci sarà anche una squadra segreta della CIA che faranno da mediatori nell’affare.

Ma ovviamente la missione è una gigantesca imboscata. Il loro vecchio amico li ha attirati in un tranello, solo per vendere un nuovo modello di micidiali robot da guerra.

Per provare l’efficacia di questi droni intende metterli alla prova contro i migliori soldati sulla piazza; perciò loro erano inevitabilmente la sua prima scelta.

Mercenari e agenti segreti dovranno quindi fare fronte comune contro un plotone di nemici corazzati apparentemente indistruttibili.

Nel frattempo sui monitor di controllo alcuni ufficiali americani e russi seguono lo scontro per valutare quanto siano letali questi nuovi robot.

Ma forse lo scontro non sarà così facile come avevano previsto e l’homo sapiens può tenere testa a questi bestioni di metallo comandati a distanza.

Molto male quasi in tutto, eppure funziona

Seppure sia simile al precedente Kill Command, devo ammettere che Battle Drone del 2018 è un film peggiore in quasi tutti gli aspetti.

Regia, recitazione, effetti speciali e la cura per la messa in scena sono a un livello decisamente più basso, spesso arrivando sfiorando quasi il trash.

Le scene action sono realizzate in una fastidiosa combinazione di slow motion e velocizzazione, ripetitiva e noiosa fino all’esaurimento.

Il cast di attori sembra una caricatura dei personaggi dei Mercenari di Sylvester Stallone, senza però nessun divo di rilievo del panorama cinematografico internazionale.

In effetti l’unico che parzialmente famoso è Michael Paré, l’infame che frega tutti gli altri. che ricordo per affetto da film come Stade di Fuoco.

Eppure questo è uno di quei rari casi in cui il risultato è maggiore della somma delle parti, riuscendo più di quanto il talento per realizzarlo meritasse.

L’ironia è sempre presente in ogni scena, a volte forse neppure in modo voluto, ma alleggerendo notevolmente la ripetitività di certe situazioni e personaggi.

Inoltre non abbiamo la solita esaltazione del militarismo tipica del cinema americano, anzi i personaggi peggiori sono proprio gli ufficiali e i soldati stelle e strisce.

Mitch Gould alimenta saggiamente questa ironia per tutto il tempo, seppure il suo stile di regia sia molto piatto e poco ispirato cinematograficamente.

Tuttavia ammetto che ho visto molte più volte questa piccola storia robot piuttosto che altri film realizzati molto meglio, narrativamente e tecnicamente.

Perciò anche se realizzato bene a intermittenza, Battle Drone è un esperienza di intrattenimento che consiglio almeno di provare. Forse non saprete neppure spiegare perchè, ma scommetto che in fondo piacerà anche a voi.

I am Mother (2019)

I am Mother 2019 film di robot

Dopo due film in cui avevamo un manipolo di coraggiosi contro una serie di robot assassini, arriviamo infine a una storia in uno scenario completamente diverso.

Infatti, la protagonista è una giovane ragazza che è nata e cresciuta in completo isolamento dentro un bunker corazzato.

L’unica sua compagnia è un robot che si è preso cura di lei fin da piccina e che lei non a caso chiama come Madre.

La sua istruzione si basa sulla responsabilità di dover ricostruire l’intera umanità, insieme agli altri uomini e donne che nasceranno dagli embrioni custoditi nel bunker.

Per quello che la ragazza conosce, il genere umano si è estinto tra le guerre, devastando ogni città e rendendo l’intero pianeta inabitabile.

Tuttavia un giorno un misterioso estraneo bussa alla loro porta, una ragazza ferita che implora aiuto e rifugio nel loro bunker.

Nonostante le regole della casa proibiscano severamente qualsiasi intrusione dall’esterno, lei ha pietà della visitatrice e la fa entrare.

Dopo aver curato le sue ferite, ascolta esterefatta il racconto della sua ospite riguardo quello che succede davvero fuori dalla porta blindata dietro cui ha sempre vissuto.

Lei afferma che non c’è stata nessuna guerra tra gli esseri umani, ma invece sono stati i robot a coalizzarsi in unico esercito e uccidere tutti.

A quel punto la giovane ragazza dovrà scegliere se credere alle sue parole oppure restare fedele a quello che il suo robot madre le ha insegnato per tutta la vita.

Molto piccolo ma tanto grande

Passato in sordina su Netflix nel disinteresse generale, I Am Mother è un interessante film post-apocalittico che parla di robot, la vita e la morte.

Uno dei maggiori punti di fascino è la misteriosa origine dell’apocalisse, così che la giovane protagonista Clara Rugaard-Larsen non sappia mai a chi credere veramente.

Chi dice la verità tra il suo robot madre con la voce della ottima Rose Byrne e la sconosciuta Hilary Swank che arriva dall’esterno a sconvolgerle la vita?

Grant Sputore dirige il suo primo e (finora) unico film con una buona idea di fondo portata in scena più che adeguatamente.

Ballando in punta di piedi tra thriller e fantascienza, la storia si svolge sullo sfondo della formazione di una giovane ragazza sola e affamata di vita.

La presenza di pochi personaggi crea un triangolo di dubbio e rapporti continuamente mutevoli alla soglia dell’arrivo di una nuova generazione di esseri umani.

Riusciranno a fare meglio della disgraziata società che li ha preceduti o ripeteranno gli stessi errori in un malsano ciclo di morte e devastazione?

I robot di questo film vogliono veramente aiutarci oppure sono stati proprio loro la causa della nostra rovina?

Forse abbiamo pagato con la nostra liberta la comodità di avere questi servi meccanizzati, cadendo inevitabilmente nel pozzo della nostra stupida superbia.

Mi rendo conto che si tratta di temi già usati, anzi quasi abusati ormai, ma non voglio spoilerarvi più di tanto una trama di poche ma ottime premesse.

Credo che I Am Mother sia un film ingiustamente sottovalutato, seppure non un capolavoro, intendiamoci.

Comunque rimane una piccola produzione che meritava più notorietà, anche per spingere la carriera di un regista che sembrava promettente, ma fino ad oggi non ha più diretto nient’altro.

Noi però non siamo robot e possiamo scegliere cosa meriti il nostro interesse, perciò vi invito a visitare il mio sito per ulteriori consigli sul grande mondo del cinema:

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Fabio Emme
Fabio Emme
Amante del buon cinema, grande arte che ha sempre fatto parte della mia vita, plasmando il mio modo di essere e vedere il mondo negli anni e aiutandomi a formare la mia cultura. Da quando ho memoria ho sempre letto, scritto e parlato di film e spero vivamente con i miei articoli di aiutare altri a fare altrettanto. Hobby? ...Il cinema, naturalmente!