La rosa canina, emblema dei Tudor, antenata di ogni altra rosa

La rosa canina, più antica dell’uomo, dedicata ad Afrodite

Grazie a reperti fossili, rinvenuti soprattutto nell’America settentrionale, le rose sarebbero comparse sulla Terra tra i trenta e i venti milioni d’anni fa. Prima ancora del 1700 a. C., a Creta, nel palazzo di Cnosso, fu dipinto il più antico affresco nel quale sia stata rappresentata una rosa canina. I greci ritenevano che le sue radici guarissero dalla rabbia, quando si veniva morsi da cani infetti. E la dedicarono ad Afrodite, perché legata al mito di Adone. Si narra che la dea dell’amore sia accorsa presso l’amato, che per istigazione di Ares era stato ferito a morte da un cinghiale. Nell’affrettarsi, pare che abbia scavalcato una siepe di rosa canina in fiore, ferendosi con le spine. E le bianche corolle sarebbero diventate rosee perché irrorate dal sangue della dea. 

tralcio di rosa canina

Coltivata dagli egizi, adorata dai romani

I primi a coltivare e a selezionare tipi diversi di rose, partendo proprio dalla selvatica rosa canina, furono gli egizi. In pochi secoli, riuscirono a produrne grandi quantità, tanto da esportarle in tutto il bacino del Mediterraneo. I principali importatori furono i romani, che utilizzavano petali di rosa per aromatizzare il vino e per ricette di cucina. L’abitudine di mettere rose sulle tavole imbandite risale a loro, insieme a quella di adornare con questi fiori vasche e fontane. Due imperatori andavano letteralmente pazzi per le rose: Nerone ed Eliogabalo. Nerone ne lanciava i petali sui convitati che partecipavano ai suoi banchetti mentre Eliogabalo si faceva il bagno nel vino di rose. Ci è stato tramandato che costui abbia addirittura soffocato gli avversari politici facendo crollare loro addosso un soffitto, appesantito da un enorme quantità di petali.

petali in primo piano

I sospetti dei primi cristiani

Con tali precedenti, la rosa non fu un fiore amato dai primi cristiani, perché considerato troppo lascivo. Fu rivalutato nel Medioevo quando, grazie anche a san Bernardo, si diffuse il culto della Vergine Maria. La rosa canina fu schiarita dai monaci che la coltivavano sino a diventate bianca, quale Rosa Mistica, simbolo della Madonna. Con i petali essiccati e opportunamente impastati, si realizzavano i grani del rosario che, fatti scorrere nella mano, profumavano le dita dei fedeli in preghiera.

La rosa rossa dei Lancaster, la rosa bianca degli York e la rosa canina dei Tudor

I sovrani britannici scesero di fregiarsi della rosa sin dai tempi di Riccardo Cuor di Leone. Così accadde che, quando le casate dei Lancaster e degli York si scontrarono per il trono d’Inghilterra, scelsero rose di diverso colore a rappresentarle. La rosa rossa era quella dei Lancaster e la rosa bianca quella degli York. La guerra trentennale che impegnò le due famiglie tra il 1455 e il 1485 fu pertanto chiamata War of the Roses. A concluderla fu Enrico VII Tudor, discendente dei Lancaster, che sposò Elisabetta, figlia di Riccardo di York. Quale segno di pacificazione, egli volle la rosa canina come emblema della monarchia britannica, il cui colore rosa è dato dalla somma del rosso e del bianco. A volte, la rosa Tudor è anche disegnata con petali bianchi all’interno e rossi all’esterno, ma mantiene sempre la forma di rosa canina.

petali bianchi di rosa su cespugli

Rose d’Irlanda

Sebbene gli irlandesi non abbiano mai potuto soffrire i sovrani della dinastia Tudor, efferati e dispotici, non per questo amarono meno le rose. Inventarono persino un celebre pizzo che ha come elemento ripetuto una rosa canina, chiamata appunto “rosa d’Irlanda”. Per tradizione, nell’Isola di Smeraldo (in particolare nella contea di Cork) le rose vengono potate nella festa di san Patrizio, che cade il 17 marzo. Ci sono poi diverse credenze curiose. È di cattivo auspicio, se si trova una rosa canina ancora fiorita alla fine dell’estate. Ma se i fiori perdurano addirittura in autunno, ci sarà per certo un matrimonio in famiglia nell’anno venturo.

Un tempo le ragazze irlandesi, a maggio, erano solite raccogliere un bocciolo di rosa canina, la domenica, mentre si recavano a messa. Perché l’incantesimo d’amore funzionasse, dovevano staccarlo proprio sulla via che conduceva alla chiesa, quando suonavano le campane. Di ritorno a casa, avvolgevano il bocciolo nella carta velina bianca e lo riponevano in una scatola di legno, che non avrebbero riaperto fino a Natale. Se si fosse mantenuto intatto, nella Notte Santa l’avrebbero appuntato sul colletto e il ragazzo che l’avesse chiesto in dono sarebbe stato il futuro marito.

boccioli e fiori di rosa

La più diffusa rosa selvatica

Tra le rose selvatiche, la rosa canina è senz’altro la più diffusa. È assai frequente in Europa e in diverse regioni asiatiche. Predilige come habitat le siepi, le radure e i boschi assolati. Conserva in italiano il nome latino: è stata infatti catalogata come Rosa canina L. E appartiene all’omonima famiglia delle Rosacee. Tutte le specie in essa comprese hanno una particolarità riguardo al fiore, che è composto da cinque petali. Il numero cinque ricorre anche nelle rose coltivate, la cui corolla è composta da molti più petali. Eppure, se andiamo a contarli uno per uno, otterremo sempre un multiplo di cinque.

Si tratta di un arbusto che può superare i 2 metri d’altezza, anche se spesso la sua struttura è arcuata, con fusti flessibili che si piegano. Sono ricoperti di spine uncinate e le foglie sono composte di due o tre paia di foglioline dentate, con una singola al vertice del picciolo. I fiori, che possono anche essere biancastri, sono rosati, grandi, con petali lunghi dai due ai tre centimetri. Essi, che sbocciano tra maggio e luglio, cascano prima della maturazione dei falsi frutti, detti cinorrodi, dall’acceso colore rosso. I frutti veri e propri sono infatti custoditi all’interno di essi, in involucro peloso, e sono nocciolini angolosi, chiari e assai duri.

falsi frutti rossi della rosa canina

La rosa canina in fitoterapia

Sebbene i petali siano blandi lassativi, i semi sedativi (insonnia e ansia) e le foglie siano cicatrizzanti, la droga è costituita dai cinorrodi. Essi vanno accuratamente ripuliti dalla peluria interna, che è irritante per l’intestino. Contengono vitamina C (i cinorrodi sono tra i frutti più ricchi in assoluto di questa vitamina), vitamine B, E, K, PP e protovitamina A. Ci sono inoltre gli acidi malico e citrico, pectina in buona percentuale, rutina, carotenoidi, tannini, resina, sali minerali, glucosio e persino vaniglina. Il decotto si prepara ponendo due cucchiai rasi di cinorrodi spezzettati in mezzo litro d’acqua fredda. Si porta a bollore, si mantiene a sobbollire per un paio di minuti, si spegne, si lascia in infusione per un quarto d’ora, si filtra e si dolcifica. Si beve lungo la giornata come un tè, essendo una bevanda dal gusto gradevole. Giova come tonico primaverile in caso di stress e stanchezza, come antidiarroico e come vermifugo (ascaridi). Contrasta l’anemia, lo scorbuto e la carenza di vitamine in genere. È diuretico, depurativo del fegato ed emostatico.

cespuglio di rose canine

Usi alimentari e non dei cinorrodi di rosa canina

Per tonificare la pelle, il segreto delle nostre nonne era quello di schiacciare la polpa dei cinorrodi ben maturi e di distenderla sul viso. È necessario tenerla in posa per un quarto d’ora, prima di lavarla via. Ma ci sono anche tante ricette golose in cui impiegarli, dalle marmellate, agli sciroppi, al vino in cui si fanno macerare. La cosa importante, come già anticipato, è rimuovere con cura i peli interni. Quando il cinorrodo è ben maturo, con la buccia un po’ raggrinzita, basta schiacciarlo leggermente perché fuoriescano peli e semi. Altrimenti si incorre nell’inconveniente che, in molti dialetti, appioppa loro il soprannome poco simpatico di “grattare” la parte meno nobile del corpo.

Maura Maffei
Maura Maffei
Maura Maffei è da trent’anni autrice di romanzi storici ambientati in Irlanda, con 17 pubblicazioni all’attivo, in Italia e all’estero: è tra i pochi autori italiani a essere tradotti in gaelico d’Irlanda (“An Fealltóir”, Coisceim, Dublino, 1999). Ha vinto numerosi premi a livello nazionale e internazionale, tra i quali ci tiene a ricordare il primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale San Domenichino – Città di Massa, con il romanzo “La Sinfonia del Vento” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2017) e il primo premio Sezione Romanzo Storico al Rotary Bormio Contea2019, con il romanzo “Quel che abisso tace” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza, 2019). È a sua volta attualmente membro della Giuria del Premio Letterario “Lorenzo Alessandri”. Il suo romanzo più recente è “Quel che onda divide” (Parallelo45 Edizioni, Piacenza 2022) che, come il precedente “Quel che abisso tace”, narra ai lettori il dramma degli emigrati italiani nel Regno Unito, dopo la dichiarazione di Mussolini alla Gran Bretagna, e in particolare l’affondamento dell’Arandora Star, avvenuto il 2 luglio 1940, al largo delle coste irlandesi. In questa tragedia morirono da innocenti 446 nostri connazionali internati civili che, purtroppo, a distanza di più di ottant’anni, non sono ancora menzionati sui libri di storia. Ha frequentato il corso di Erboristeria presso la Facoltà di Farmacia di Urbino, conseguendo la massima votazione e la lode. È anche soprano lirico, con un diploma di compimento in Conservatorio. Ama dipingere, ha una vasta collezione di giochi di società e un’altrettanto vasta cineteca. È appassionata di vecchi film di Hollywood, quelli che si giravano tra gli Anni Trenta e gli Anni Sessanta del secolo scorso. Tra i registi di allora, adora Hawks, Leisen e Capra. Mette sempre la famiglia al primo posto, moglie di Paolo dal 1994 e madre di Maria Eloisa.