Greg Goya: “Desideravo vedere una mia opera in un museo”

“Un giorno una mia opera sarà in un museo”. Sono queste le parole di Greg Goya, artista torinese di 24 anni, creatore della fast art. Lo abbiamo incontrato per scoprire cosa si nasconde dietro fatto il suo mondo fatto di arte ed emozioni.

Intervista con Greg Goya

Dai fastfood alla fastfashion. Viviamo in un mondo in cui, ormai, tutto sembra correre veloce. Anche tu sembri seguire questo ritmo. Come definisci la tua arte? E quali temi tratti principalmente? E a cosa è dovuta questa scelta?

Ho dato vita alla fast art. Un’arte veloce che si crea in poco tempo e si consuma altrettanto velocemente. Potremo definirlo un mix tra perfezione artistica e street art, un vero e proprio ibrido. La realizzazione veloce di queste opere porta ad un feedback emotivo non indifferente. Quando si fa arte, qualsiasi essa sia, la parte più bella è l’interazione con le persone ed è per questo che con le mie installazioni trovo sempre il modo per far esprimere chiunque si avvicini ad essa. Le opere che generano più reazioni, ad esempio, sono quelle legate al panorama urbano, quindi quelle che realizzo ad esempio su un cartello stradale o su un pavimento. I temi di cui tratto sono tutti temi universali, come quello dell’amore. E’ stato uno dei primi temi che ho deciso di trattare in quanto ho pensato che fosse il più pop e, soprattutto, eterno. L’amore coinvolge tutti, soprattutto a livello personale. E’ un sentimento che trascina soprattutto gli adolescenti e dato che il mio pubblico ha un’età compresa tra i 20 e i 30 anni, ho sempre pensato fosse la scelta migliore.

Ogni artista ha il suo dipinto preferito e un luogo che porta ispirazione. Nel tuo caso, quale punto di Torino rappresenta al meglio la tua arte?

I murazzi sono il posto più street che esiste a Torino. E’ molto suggestivo e affascinante e non per questo, infatti, è proprio il punto in cui tramonta il sole.

Le tue opere vengono realizzate, filmate e caricate sui social. Che rapporto hai con il web e con le persone che ti seguono?

I social sono diventati, ormai, un mezzo potentissimo. Portano con sè aspetti positivi e negativi da non trascurare assolutamente. Penso che i social siano uno strumento iper democratico. Una volta, dopo aver dipinto su un ponte, ho ricevuto insulti pesantissimi. L’opera è stata criticata tantissimo soprattutto quando chi guarda non è a conoscenza del fatto che la mia arte nonostante sia urbana, è rispettosa nei confronti dell’ambiente. Tutte le mie opere vengono realizzate con l’utilizzo di adesivi, vernici e tanti altri materiali lavabili e cancellabili. Ho una comunity che mi segue ovunque e di cui ne vado molto fiero.

Hai portato a Torino qualcosa che fino a qualche anno fa non esisteva. Romanticismo e attenzione per quei luoghi che vediamo sempre ma non ci fermiamo mai a guardare veramente. Strade, piazze e ponti che racchiudono pezzi di storia e meritano di essere valorizzati. Come mai la scelta di questa città per la tua fast art?

Torino è la mia città. Ci sono nato e cresciuto e ne rimango, ogni giorno, affascinato dalla sua bellezza. E’ una città “instagrammabile”, come diremmo noi giovani. Nasconde una sorta di animo parigino a cui spesso, però, non viene data importanza . Ho riscontrato, inoltre, che creare arte in questi posti molto turistici, attira ancor di più l’attenzione della gente. La cosa di cui sono più grato è vedere i commenti, sotto i miei video, dei torinesi che riconoscono tutta la bellezza della loro città.

Abbiamo parlato di amore, emozioni e legami con il pubblico. Cosa ti aspetti dalla fast art e qual è, secondo te, l’aspetto più importante che dovrebbe prevalere?

Riconoscersi. Questa è la parole chiave della Fast art, un’arte che nasce proprio come un rifiuto dell’arte iper-concettuale moderna e contemporanea. La fast art ha fame di interazioni. Vuole avvicinarsi al pubblico il più possibile per cercare di instaurare un rapporto solido. Mi aspetto semplicemente questo da ciò che faccio. Se una persona guarda cosa sto facendo e non capisce oppure non prova alcun sentimento, allora vuol dire che ho fallito nel mio intento.

Leggi anche:

Andrea Falchi si racconta tra pittura e anima: “Il mare è una parte di me”

Andrea Di Taranto: “Il Salento? Terra rustica ma vera”

Arianna Pino
Arianna Pino
Autrice del libro “Resta almeno il tempo di un tramonto” e di “Quando fuori piove”, finalista al concorso letterario “Il Tiburtino”. Iscritta all’ Università delle scienze e tecnologia del farmaco. Dice di sé:“Sono nata in città ma vivo col mare dentro. Ho occhi  grandi per guardare il mondo, ogni giorno, con colori diversi. Ho la testa tra le nuvole ma cammino su strade fatte di sogni pronti a sbocciare, mi piace stupire come il sole, quello che la mattina ti accarezza il volto e ti fa ricordare che c’è sempre un buon motivo per alzarsi. Amo la pizza, il gelato e la cioccolata calda perché io vivo così, di sensazioni estreme, perché a vent’anni una cosa o gela o brucia. Mi piace vivere tra le parole che scrivo, che danno forma alla mia vita come i bambini fanno con le nuvole”.