Farà più danni il coronavirus o la povertà? Quanti ne usciranno indenni?

Gli effetti collaterali dell’emergenza da Covid-19 stanno ricadendo sulla situazione economica e si preannuncia una pandemia altrettanto devastante, anche se di natura diversa, al punto che ci si comincia a chiedere se farà più danni il coronavirus o la povertà.

Potrà sembrare blasfemo questo titolo ma non vuole assolutamente essere irriverente nei confronti di chi ha perso dei famigliari, degli amici a causa di questo maledetto virus. Chi più, chi meno, siamo stati tutti toccati dalla perdita di una persona cara. E non c’è dolore più grande. Detto ciò e dando tutto il dovuto rispetto ai lutti che hanno toccato e che continuano a toccare gli italiani, me compresa, purtroppo, bisogna fare i conti con quelli che sono gli effetti collaterali del coronavirus.

Faccio ancora una piccola premessa. La proroga delle misure restrittive fino al 3 maggio sono indispensabili, questo è ovvio e scontato, perchè sono una misura obbligatoria, visto i numeri e il rischio ancora altissimo di contagio. Molti dicono che ledono la libertà costituzionale del’individuo, ma la gravità del pericolo impone in primis il diritto alla vita.

Purtroppo però il lock down imposto crea un problema altrettanto grave, perchè genererà una seconda pandemia altrettanto critica che mieterà altrettante vittime.

Una guerra senza eroi

In questo momento le difficoltà economiche che le famiglie stanno riscontrando sono compatibili con quelle di una vera e propria guerra. Con la differenza che dopo una guerra esiste una ricostruzione che (spiace dirlo ma è così) rimette in moto molti settori dell’economia e purtroppo non saranno più molti i testimoni del boom degli anni sessanta, perchè il coronavirus se li sta portando via. Anche qui, sarebbe interessante capire il meccanismo dei numeri. Ogni giorno abbiamo un resoconto che francamente andrebbe approfondito perchè qualcosa sfugge.

Il nostro è un sistema economico che presenta già da tempo delle criticità in fatto di occupazione. Il precariato, i contratti part time, i lavori su provvigione. I pochi posti a tempo indeterminato sono un’eredità della prima repubblica, il resto, una conseguenza della globalizzazione. E poi ci sono le partite IVA. I commerci, i professionisti e le piccole aziende. Facciamo un esempio pratico. Anzi due.

Professione Partita IVA

Davide, 29 anni, artigiano decoratore e, secondo esempio, Paola e Maurizio, un piccolo bar/tavola calda a conduzione famigliare. Due realtà che in questo momento si ritrovano a casa, senza lavoro, e senza possibilità di incassare nulla.

Non sono tra le categorie che possono accedere ai buoni spesa, che per altro sono finiti un quarto d’ora dopo il via al clik. I bonus sociali previsti, sono stati sospesi. I prestiti a garanzia dello Stato, non sono ancora regolamentati.

Le loro attività sono state tra le prime sospese dal decreto #iorestoacasa. A casa, con moglie e prole, un affitto o un mutuo da pagare. Vero che i mutui sono stati sospesi, ma è altrettanto vero che è stato fortemente consigliato di continuare a pagare tasse e mutui perchè poi sarebbe stato peggio. Ammettiamo pure che abbiano fatto la scelta di non pagare e conservare quel poco denaro rimasto per sopravvivere. Quanto potranno ancora tenere duro? Se non si sono ammalati di coronavirus, rischiano di ammalarsi di povertà, perchè dall’8 marzo la saracinesca è giu e lo sarà fino al 3 maggio. Poi inizierà una lenta e progressiva riapertura.

POI…Già, il “poi” è il nocciolo della questione.

Quali prospettive si presentano per il futuro?

In questo momento l’unica prospettiva è l’indebitamento. In pratica funziona così. Non ci sono i soldi perchè non si sta lavorando. Le tasse sono sospese ma non annullate. Quando le attività riprenderanno, arriveranno le cartelle. Quindi in questo momento, conviene andare in banca, accedere ai finanziamenti garantiti dallo Stato, con relativi interessi, scegliere la rateizzazione più conveniente per poi avere la disponibilità di pagare le tasse che si sono accumulate.

Il piano geniale del decreto liquidità quindi prevede che tutti possano pagare le tasse attraverso un prestito. E’ noto a tutti che le tasse sono le entrate dello Stato e che se nessuno paga, lo Stato non incassa. Questo il motivo per cui lo Stato non ha annullato ma solo sospeso i pagamenti. Ma la chiusura delle attività prevede che non ci siano entrate e quindi nulla da tassare.

Ma non c’erano davvero altre soluzioni? E vi prego, non facciamone una questione politica, la fame non è nè di destra nè di sinistra.

Effetti collaterali da Coronavirus: la povertà

Non è quindi il coronavirus, a causare la povertà, ma i suoi effetti collaterali.

Quanta gente avrà la possibilità di imbiancare casa, di fare delle ristrutturazioni? Quanti avranno le possibilità di andare al bar o al ristorante? Perchè bisogna anche considerare quanti avranno ancora un lavoro. Solo per dovere di cronaca, ad oggi sono 40 mila i contratti a termine che non sono stati rinnovati (fonte TG5 del 11 aprile). Quante le aziende che avranno la possibilità di assumere, quale sarà il potere d’acquisto di un nucleo famigliare dopo aver contratto un debito che graverà sui costi fissi del budget mensile?

La gente fa la fila al monte dei pegni e si spera che questa situazione non degeri con episodi di strada, come è già successo, del resto, in qualche parte d’Italia.

Quando dico farà più danni il coronavirus o la povertà intendo dire che tutti saremo contagiati da un’altra pandemia, quella economica. Quante saranno le partite IVA che moriranno? Quanti commerci subiranno una lenta agonia prima di estinguersi?

Nessuno ne uscirà indenne, almeno tra i comuni mortali. Solo gli Dei dell’Olimpo dell’alta finanza e della politica si salveranno.

Come sempre.

Addì, 31 gennaio 2020

E allora torno indietro di qualche settimana. Torno al 31 gennaio 2020.

Un decreto dichiara lo stato di emergenza, ma l’illustre professor Burioni, virologo, punto di riferimento scientifico per il nostro governo tecnico, il 4 febbraio dice che il rischio di contagio in Italia è pari a zero. Lo dice convinto e guardandoci dritto negli occhi sulla rete nazionale.

Il virologo è lui, non io, gli credo. E con me i 60 milioni di italiani che lo stanno guardando.

E’ chiaro che sulla base di una relazione di questo tipo, non ci si poteva allarmare più di tanto. Comprensibile quindi che nessuno abbia individuato il vero pericolo che stava in agguato.

Un governo che fa riferimento a un comitato tecnico scientifico, si muove in misura di quanto riferiscono gli esperti.

Ora, non si sa se è stata fatta una tavola di discussione, se si sono fantasticati, o meglio, ipotizzati scenari paralleli alle condizioni che si stavano verificando in Cina in quel preciso periodo. Ci sarebbe voluta una sfera di cristallo e una buona dose di doti di veggenza per saperlo.

Ma quando si legge, nero su bianco, sancito da un sigillo governativo “ritenuto che tale contesto di rischio, soprattutto con riferimento alla necessita’ di realizzare una compiuta azione di previsione e prevenzione, impone l’assunzione immediata di iniziative di carattere straordinario ed urgente, per fronteggiare adeguatamente possibili situazioni di pregiudizio per la collettivita’“. Quando si legge nello stesso testo “ritenuto, pertanto, necessario provvedere tempestivamente a porre in essere tutte le iniziative di carattere straordinario sia sul territorio nazionale che internazionale, finalizzate a fronteggiare la grave situazione internazionale determinatasi“, due domande sorgono spontanee…

Una compiuta azione di previsione e prevenzione…

Confidando quindi nelle capacità del nostro Governo, si presume che abbiano preso in considerazione la remota possibilità di dover far fronte ad una “situazione di pregiudizio per la collettività“. C’è una palese incongruenza tra le parole “previsione e prevenzione” e i tempi di attuazione.

Se dovessimo porre le questioni seguendo il modello di un DPCM la formula sarebbe questa:

Visto il decreto che parlava di “potenziamento delle strutture sanitarie e a livello sanitario, siamo rimasti scoperti anche solo dei dispositivi di base per tutelare il personale sanitario e, di conseguenza anche le persone fisiche. E i tamponi, i respiratori, le risorse che ancora oggi mancano…la lista è lunga.

Visto il livello di contenimento, lo stesso decreto cita il potenziamento delcontrollo alle frontiere aeree e terrestri“. Per carità, il potenziamento c’è stato ma le frontiere sono rimaste aperte e i porti sono stati chiusi il 7 aprile, e nel frattempo l’Italia ha ospitato regolarmente sbarchi di migranti.

Ritenuto che si considerava la necessita’ di realizzare una compiuta azione di previsione e prevenzione

Ritenuto che era necessario provvedere tempestivamente a porre in essere tutte le iniziative di carattere straordinario

Pur comprendendo tutte le difficoltà del caso e, per riprendere le parole di ieri sera del Premier,che “il momento non è assolutamente facile“,

Di grazia, ci si domanda:

Quali sono queste iniziative che sono state poste in essere?

Cosa si intende per “tempestive”?

Perchè le strutture ospedaliere, le case di riposo, le strutture di accoglienza, le carceri, non hanno ricevuto un numero sufficiente di dispositivi di protezione?

Perchè non c’è stata una distribuzione di mascherine da parte del Governo, a tutta la popolazione, come sta accadendo in altri paesi?

L’azione di previsione e prevenzione del coronavirus, ha tenuto conto degli effetti collaterali di una (all’epoca) eventuale pandemia?

Come mai il decreti Cura Italia e Liquidità arrivano quasi tre mesi dopo?

Quando saranno accessibili gli aiuti?

Oltre alle vittime da contagio, quante saranno le vittime da decreto?

Non ci conforta sentire che “Non abbiamo un paese predisposto che era nato per gestire un’emergenza di questo tipo con uno stato centralizzato e organizzato in vista di uno stato di emergenza che nessuno immaginava“.

Quello che è preoccupante è leggere post del tipo: “Non ho paura del coronavirus, ho paura della povertà, non tanto per me, quanto per i miei figli

danni collaterali  il coronavirus o la povertà? un uomo in jeans tira con la mano una tasca vuota
Tina Rossi
Tina Rossi
(a.k.a. Fulvia Andreatta) Editrice. Una, nessuna e centomila, il suo motto è “è meglio fingersi acrobati, che sentirsi dei nani” Dice di sé:” Per attimi rimango sospeso nel vuoto,giuro qualche volta mi sento perduto, io mi fido solo del mio strano istinto, non mi ha mai tradito, non mi sento vinto, volo sul trapezio rischiando ogni giorno, eroe per un minuto e poi...bestia ritorno...poi ancora sul trapezio ad inventare un amore magari...è solo invenzione, per non lasciarsi morire...”