Eddie Brock: “La musica per me? Vita vera”

“A volte nella musica si trovano le risposte che cerchi, quasi senza cercarle. E anche se non le trovi, almeno trovi quegli stessi sentimenti che stai provando. Qualcun altro li ha provati. Non ti senti solo. Tristezza, solitudine, rabbia.”
Per ognuno di noi, la musica ha un ruolo differente. Abbiamo incontrato Edoardo Ieschi cantautore romano, in arte Eddie Brock, per scoprire cosa si nasconde dietro il suo mondo fatto di arte, sogni ed emozioni.

Intervista con Eddie Brock, in arte Edoardo Ieschi

Eddie Brock. Per alcuni potrebbe essere un semplice nome d’arte per i più attenti, invece, riporta alla memoria un supereroe dalla forza senza limiti. Come mai la scelta di questo nome?

Mio zio era un fumettista e fin da piccolo sfruttavo la sua arte con la sola e continua richiesta di disegnare, per me, Venom, il mio personaggio Marvel preferito. Un supereroe che porta con sè la bellezza, il sacrificio e il coraggio di vivere con Eddie Brock, il suo alter-ego. Eddie. Era questo il soprannome che lo zio mi ha dato fin da sempre. Un soprannome coerente con il mio nome vero ma era per lo più nato come un gioco, probabilmente rivedeva in me la vita del personaggio.
Un giorno, poco prima della mia prima esibizione sul palco, pensai che avere un nome d’arte era fondamentale. Eddie mi sembrava troppo poco e mi venne così in mente di completarlo con il suo vero cognome.
Da quel giorno è nato, così, Eddie Brock, il cantante. Un connubio perfetto, forse, con la mia personalità.

“Sento che la musica deve toccare le emozioni prima, e l’intelletto poi”, affermava Maurice Ravel, noto compositore francese. Tu, quando canti, in quali emozioni ti rivedi e quanto sono in grado di rispecchiare la tua quotidianità?

Premetto che attribuire un nome alle emozioni che provo è sempre stato complicato. Sicuramente, quando si tratta di musica il tema che affronto nelle canzoni genera, automaticamente, emozioni forti, vere e ben definite. Se racconto una storia autobiografica, senz’altro, il rapporto con le emozioni diventa intimo e stretto. Posso dire che la mia quotidianità, in questo, mi aiuta molto. Vivo, costantemente, con le cuffiette nelle orecchie. Ogni stato d’animo, seppur spesso difficile da etichettare, ha una sua colora sonora che mi accompagna nella durata di quel mood. Ti dico, quasi scherzosamente, che la mia playlist di Spotify conta, all’incirca, un milione di brani preferiti. Per me la musica ha avuto, fin da piccolo, un forte impatto nella mia esistenza quotidiana, soprattutto durante i lunghi viaggi in macchina che facevo con papà. Adoravo ascoltare i cantautori italiani che mi hanno, successivamente, portato ad appassionarmi ancora di più alla musica.

“Viola non dire a tua madre che non mi ami più”, canti in un tuo singolo. Hai detto che etichettare le emozioni ti risulta difficile. Siamo soliti, però, trovare come tema principale, di qualsiasi forma d’arte, l’amore. Pensi sia più semplice raccontare un amore appena iniziato o giunto al capolinea? Tu che rapporto hai con le cose che racconti nelle tue canzoni?

Bella domanda! Sicuramente è più semplice parlare di un amore giunto al capolinea. Se ci pensi un amore che finisce trascina con sè un dolore in cui è più semplice rivedersi. Ti crogioli in quelle parole, in quella melodia malinconica. Possiamo quasi dire che le persone, quando si tratta di un amore finito, provano una specie di felicità platonica. In un amore finito è semplice rivedersi anche se non sei innamorato, quasi riesci a capire quella sorta di vuoto. D’altronde, sono del pensiero che non amare è essa stessa una forma d’amore.
Con la mia musica e con le storie che racconto ho un buon rapporto, potrei definirla una relazione sana. Io non sono geloso delle mie cose. La mia musica è lì e puoi farne ciò che vuoi. Il mio scopo è quello di esprimere un concetto, non di insegnare qualcosa a qualcuno. Ed è proprio a questo che serve la musica, secondo me, a ritrovarsi nelle parole di qualcuno anche se sentimenti ed emozioni vengono vissuti in maniera differente.

Contrabbandiere di emozioni. Ti presenti così sul tuo profilo Instagram. Che rapporto hai con i social?

I social sono un grandissimo strumento per stare al passo con i tempi che corrono. Sono un mezzo potentissimo per raggiungere qualcuno. Ma come tutte le medaglie, ci sono dei lati negativi che non sottovaluto per niente. Il mondo di Facebook, Instagram e TikTok, purtroppo e per fortuna, non vale! Per quanto mi riguarda, ad esempio, tengo la mia vita privata lontano da questa vetrina. Ritengo che ci siano momenti e vissuti che devono stare alla larga dai riflettori perchè è semplice influenzare chi ci circonda. Nutro, quindi, una forma di rispetto nei confronti dei miei followers ma anche nei confronti di chi non mi segue e potrebbe capitare sul mio profilo per caso. Non lo reputo egoismo, anzi, per me questa è un’alta ed elegante forma di altruismo. Sappiamo bene che il mondo dei social crea confronti e, molto spesso, il confronto diventa invidia e questo non va bene.

Giunti alla conclusione, come alla fine di un esame, la domanda in questione è quasi doverosa. Hai mai pensato di partecipare ai Talent? Qual è stato, fin da subito, il tuo obiettivo più grande?

Nel 2018 sono stato selezionato, tra migliaia di artisti, per partecipare al Coca-Cola Futur Legend, nel team soul di Annalisa Scarrone. E’ stata un’esperienza indimenticabile che ha segnato particolarmente la mia vita artistica dal quale sono andato via con un bagaglio carico di determinazione e voglia di fare. Il mondo dei Talent è per chi ha coraggio, oserei dire. Devi essere bravo nel gestire le emozioni e non è semplice capire fin da subito qual è la tua strada. “Amici”, ad esempio, è uno tra i talent più conosciuti che apre le porte a tantissimi artisti che abitano il mondo della musica e della danza. Per quanto mi riguarda, ci ho pensato ma ho scelto di non andarci perchè non ero sicuro di ciò che avrei voluto fare davvero.
Il mio obiettivo più grande, da sempre, è puntare a diventare qualcuno per i prossimi 1000 anni.

Arianna Pino
Arianna Pino
Autrice del libro “Resta almeno il tempo di un tramonto” e di “Quando fuori piove”, finalista al concorso letterario “Il Tiburtino”. Iscritta all’ Università delle scienze e tecnologia del farmaco. Dice di sé:“Sono nata in città ma vivo col mare dentro. Ho occhi  grandi per guardare il mondo, ogni giorno, con colori diversi. Ho la testa tra le nuvole ma cammino su strade fatte di sogni pronti a sbocciare, mi piace stupire come il sole, quello che la mattina ti accarezza il volto e ti fa ricordare che c’è sempre un buon motivo per alzarsi. Amo la pizza, il gelato e la cioccolata calda perché io vivo così, di sensazioni estreme, perché a vent’anni una cosa o gela o brucia. Mi piace vivere tra le parole che scrivo, che danno forma alla mia vita come i bambini fanno con le nuvole”.