L’olmo, l’abete bianco e il solstizio d’inverno
L’olmo e l’abete banco sono le ultime due piante del calendario arboreo irlandese. In realtà, in quest’ambito, sono piante rivali perché gli studiosi sono divisi, nel ritenere l’una o l’altra il simbolo del solstizio d’inverno. Secondo Robert Graves, che per primo ricostruì tale calendario, è l’abete bianco il prescelto, di cui vi parleremo la prossima settimana. Altri sono invece convinti che il giorno di Ailm si riferisse all’olmo. E dato che al calendario, in Irlanda, era anche collegato l’alfabeto arboreo, proprio dalla sua iniziale si ricavava la vocale A.


Altre tradizioni irlandesi
Nei tempi antichi, nell’Isola di Smeraldo l’olmo era considerato un albero custode della casa e della famiglia. Piantato in giardino da una giovane coppia di sposi, favoriva la nascita di una numerosa prole, purché fosse trattato con rispetto. La donna che ne avesse tagliato un rametto o anche solo strappato una foglia, sarebbe diventata improvvisamente sterile. Gli uomini, al contrario, ne prelevavano la corteccia per ricavarne fibre da intrecciare in corde o tappeti, proprio come facevano con il tiglio. Il legno, assai resistente e immarcescibile, era utilizzato per costruire le chiglie delle barche o le ruote dei carri.
Infine, erano spaventati da una caratteristica propria dell’olmo. Quando un ramo secca, si stacca dal tronco e precipita di colpo al suolo, ferendo l’eventuale malcapitato che vi alberghi sotto. Per questo era vietato sostare o riposare sotto un olmo. Si diceva, infatti, che tra i suoi rami abitasse una strega e che ogni tanto, per dispetto, ne tirasse giù uno.


L’olmo nella storia
Tra i primi a citare l’olmo fu Teofrasto, nel IV secolo a. C. E Dioscoride (I secolo) ci tramanda una zuppa preparata con le sue foglie primaverili. Il contemporaneo Columella, invece, riferiva che le samare dell’olmo, se mangiate dalle capre, ne aumentavano la lattazione. Per la ricchezza di proteine e mucillagini, le foglie hanno costituito un cibo ricostituente per il bestiame, soprattutto per pecore, capre e maiali. Ma sono state spesso mangiate pure dai contadini, in minestre, frittate e insalate. I nostri nonni erano ghiotti delle samare, che chiamavano pan maggiolino e che i bambini gustavano in merende all’aria aperta.


Una breve descrizione botanica
L’olmo più comune è stato catalogato come Ulmus campestris L., che equivale a Ulmus minor L. Appartiene alla famiglia delle Ulmacee ed è un grande albero slanciato, che supera di frequente i 30 metri d’altezza. I rami più bassi sono ascendenti mentre quelli posti alla sommità diventano discendenti. Recano spesso, specie sulle piante giovani, una sorta di cresta longitudinale dalla consistenza sugherosa, che sembra una specie di ala. La radice a stolone genera abbondanti polloni, che creano boscaglie. Le foglie alterne, dalla punta acuminata e dal margine con doppia seghettatura, sono lucide sulla pagina superiore e hanno un picciolo tomentoso. Esse sono soggette a galle: vengono prodotte dalla puntura del gorgoglione dell’olmo e contengono liquido.
I fiori androgini, con stigmi gialli, sono riuniti in fitti ciuffi e compaiono tra marzo e aprile, ossia prima delle foglie. I frutti sono le cosiddette samare alate, con seme spostato verso l’apice bifido. L’olmo è una pianta assai longeva, che comincia a fruttificare dopo vent’anni e che può vivere anche cinque secoli. Gli esemplari anziani hanno una circonferenza superiore ai 5 metri ma ci sono stati, nella storia, casi record con 9 e persino 14 metri di circonferenza!


Studi clinici che rivelano un eccellente cicatrizzante
L’olmo ha goduto in passato di grande fama, come droga medicinale. Galeno (II secolo) ne indicava le foglie quale prezioso astringente. Mattioli (XVI secolo) ne prescriveva il liquido delle galle nella cura dell’ernia infantile e corteccia e radice per placare le convulsioni nervose. Nel 1751, il frate benedettino Nicolas Alexandre scriveva che “tutto è vulnerario nell’olmo!” Per droghe vulnerarie intendiamo erbe che curano piaghe e ferite. Egli aveva studiato gli effetti cicatrizzanti delle radici sulle piaghe fresche. Era convinto che anche il liquido delle galle servisse a guarire le ferite, purché raccolte nella notte di san Giovanni Battista (24 giugno).
Nel 1782, Chomel riferisce che il decotto delle radici giova in tutti i casi di perdita di sangue, anche interna all’organismo. Lo spagnolo Diego de Torres (1727), invece, macerava in olio iperico, boccioli di rosa e succo ricavato dalle galle dell’olmo, sempre come disinfettante delle ferite. Nel 1783, il medico inglese Daniel Lysens impiegò con successo la corteccia per debellare le dermatosi più ostinate. Nel 1798, il medico austriaco Schwediauer sperimentò a Parigi farmaci a base di olmo, per il trattamento delle malattie cutanee derivate dalla sifilide.


Una tisana salutare, da riscoprire
Poi calò il silenzio: la moderna fitoterapia ha sovente ignorato l’olmo. Persino Henri Leclerc, padre di questa scienza, lo ha snobbato. Riferì soltanto di aver visto un “praticone” di paese ottenere risultati mirabolanti, vendendo per le dermatosi un unguento a base d’olmo. Nelle sue pubblicazioni, Jean Valnet non ne elencava nemmeno i principi attivi. Eppure nella droga, costituita dalla corteccia, oltre a sostanze attive ancora sconosciute, troviamo flavonoidi, fitosferina, silicio, potassio, mucillagini e tannini.
Il decotto si prepara ponendo due cucchiai rasi di corteccia sminuzzata in mezzo litro d’acqua. Si fa bollire per un quarto d’ora, si lascia in infusione per una decina di minuti, si filtra e si dolcifica a piacere. Si beve lungo la giornata, come se fosse un tè, ma è salutare come depurativo, diuretico e sudorifero (in caso di febbre). È efficace in caso di dermatosi, di diarrea e di reumatismi.


Un piccolo rimedio contro gli eczemi
Sebbene Jean Valnet sia stato molto stringato nella descrizione dell’olmo, suggerisce tuttavia la ricetta di un olio utile per lenire gli eczemi di tipo secco. Si prendono 30 grammi di corteccia sminuzzata e si mescolano con 10 grammi di olio di mandorle dolci. Si fa cuocere a bagnomaria per un paio d’ore e si lascia raffreddare a lungo. Si applica poi sulla parte interessata, donando sollievo e un piacevole senso di freschezza.


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