Il tiglio, il giunco e l’ebbio: a quale pianta corrisponde il mese di Peith?
Oltre al tiglio, che è l’ipotesi più probabile secondo Robert Graves, sono altre due le piante che potrebbero simboleggiare il mese di Peith. Nel calendario arboreo irlandese, era il penultimo dell’anno ed era compreso tra le attuali date del 28 ottobre e del 24 novembre. Dalla consonante iniziale di tale mese si ricavava anche la lettera P, nel correlato alfabeto arboreo. A contendersene l’attribuzione, dunque, c’erano pure il giunco, specie elegante d’acqua e d’intrecci, e il sinistro, oscuro ebbio. Del giunco vi parleremo la prossima settimana, invece riguardo all’ebbio, velenoso e non curativo, faremo un accenno con l’affine sambuco, che rappresenta dicembre.
Albero del cuore e delle corde
La scelta del tiglio, che in gaelico è crann teile, è giustificata dal fatto che gli antichi abitanti dell’Isola di Smeraldo lo tenevano in grande considerazione. Ritenuto albero femminile, era il simbolo dell’amore per il profumo inebriante dei suoi fiori, come inebriante è la passione. Non solo: le foglie a forma di cuore lo rendevano il complice ideale degli amanti. In epoca cristiana, ossia nel Medioevo, divenne il garante del vincolo coniugale eterno e indissolubile e della lealtà nei rapporti d’amicizia. Questo avvenne perché gli irlandesi avevano imparato dagli invasori vichinghi a ricavare corde dalla sua corteccia. Anzi, i vichinghi dal tiglio ricavavano calzari, tappeti, panieri, funi e gomene per gli ormeggi o spaghi più sottili per le reti da pesca.
Come facevano? Staccavano la corteccia a primavera, perché più ricca di linfa, e la mettevano a seccare. Poi la tenevano a macerare in acqua per alcuni mesi, per ottenere una fibra adatta a essere cardata. E adatta, soprattutto, a essere usata dai marinai, in quanto resistente alla salsedine, alle intemperie e all’umidità. Tale lavorazione, piuttosto semplice, si mantenne viva nelle manifatture irlandesi sino a fine Ottocento. Permane ancora oggi, invece, in alcune contee, la tradizione del primo bacio sotto il tiglio in fiore, quando una giovane coppia si sposa a giugno.
Breve descrizione di un millenario
Il tiglio è un albero spontaneo, che raggiunge l’altezza di una trentina di metri e che è frequente nei boschi di latifoglie d’Europa. Tuttavia, per il profumo inebriante dei fiori, è specie coltivata sin dal tempo degli antichi romani, per essere piantata lungo viali e strade. A introdurla nei giardini, molti secoli dopo, furono il re di Francia Luigi XIV e il re d’Inghilterra Carlo II. Appartiene alla famiglia botanica delle Tiliacee ed è stato catalogata come Tilia Cordata MILL. È probabile che il nome derivi dal greco tilon, che significa penna, perché le brattee dei fiori ricordano una piuma. Oppure deriva dal latino telum, perché le frecce si ricavavano dal suo legno resistente. Quanto all’aggettivo cordata, è riferito alle foglie alterne dalla forma a cuore e dal margine seghettato, recate dai rami che si curvano verso il basso.
I fiori a 5 petali sbocciano tra giugno e luglio, hanno una tinta giallo-verdina e sono riuniti in numero di 7 o 8 in corimbi. Sono posti su rametti che terminano con una fogliolina singola, detta appunto brattea. I frutti sono piccoli, globosi e lisci. La corteccia è grigiastra e tende a fendersi con il tempo. Il tiglio, infatti, è un albero a lenta crescita ma piuttosto longevo. Si contano diversi esemplari addirittura millenari. In Germania, ad esempio, a Neustadt (Wüttemberg) si tramanda memoria di un tiglio che pare fosse il più vecchio d’Europa e che morì circa un secolo fa. La circonferenza della sua chioma raggiungeva i 133 metri e c’erano 106 colonne di pietra per sostenere il peso degli enormi rami. Due di queste colonne risalivano al 1558 e recavano lo stemma di Cristoforo, duca di Wüttemberg.
Principi attivi e usi terapeutici
La droga medicinale è costituita dai fiori, che contengono un olio essenziale con farnesolo, assai profumato, flavonoidi, e mucillagine. Ci sono, inoltre, piccole quantità di manganese, di vitamina C, di carotene, di tannini, di steroli, di glucidi e di saponine. L’infuso di tiglio, che è buonissimo di per sé, una delle bevande migliori che offre la natura, giova quindi come sedativo, antispasmodico, sudorifero e diuretico. È consigliato in caso di emicrania, d’indigestione, d’insonnia, di nevrosi e negli stati febbrili con tosse. Si prepara ponendo due cucchiai rasi di fiori essiccati e sminuzzati in mezzo litro d’acqua fredda. Si porta a bollore, si spegne e si lascia riposare sotto coperchio per una decina di minuti, prima di filtrare e dolcificare. Si beve lungo la giornata, proprio come se fosse un tè.
Interessante anche il decotto dell’alburno, ossia la parte più giovane del tronco, che agisce sulle vie biliari e sui reni (gotta, artrite, reumatismi e piccoli calcoli). Trattandosi di una parte legnosa, l’alburno richiede una bollitura di alcuni minuti: per questo usiamo il termine decotto e non infuso, più adatto a fiori o foglie.
Usi diversi e curiosità
L’essenza di tiglio è molto richiesta nell’industria dei profumi e del sapone, perché assai piacevole e persistente. Le foglie, invece, vengono impiegare per preparare dentifrici. Ma è il legno a essere utilizzato nei più svariati impieghi. Essendo tenero e uniforme, è apprezzato dagli scultori. La sua resistenza lo rende caro ai musicisti: con esso, proprio perché non si deforma, si creano casse di risonanza e tasti per pianoforti. Si ottengono poi carboncini da disegno e un uso particolare è pure quello di decolorante per l’aceto.
Jean Valnet, infine, spiegò come veniva preparata in Francia, durante la Seconda Guerra Mondiale, la cosiddetta “farina verde”. Siccome nel 1940 scarseggiava il frumento, si pensò di sostituirne la farina con un macinato d’orzo o di grano saraceno (a seconda delle regioni). Per aumentarne il valore nutritivo e per risparmiare i pochi cereali, vi furono aggiunte foglie di tiglio polverizzate, salvando il popolo dalla carestia. Si calcola, infatti, che da 3 etti di foglie essiccate si riuscisse a ricavare quasi un etto di questa farina, ricca d’azoto e di clorofilla.
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