Sanremo si rinnova: era ora. Un cast di giovani leve della musica leggera

Sanremo si rinnova ed era ora. Il cast di Sanremo 2021 è stato presentato giovedì 17 dicembre in diretta su Rai 1. E come nel 2020, Amadeus non si è smentito selezionando un bel mix di contemporaneità. Così anche i giovani si avvicineranno al “Festival della rinascita”

Il Sanremo che vorrei

Nel mondo che vorrei non ci sono pregiudizi di nessun tipo. Nel Sanremo che vorrei non ci sono limiti musicali. Gusti a parte, che com’è giusto che sia ognuno di noi porta avanti con acquisti di dischi (una volta) e con ascolti su Spotify (oggi), è giusto che il Festival della canzone italiana 2021 rappresenti la scena attuale della canzone italiana.

Quella fatta di ascolti streaming, di quotidianità, di indie pop, di esperimenti, di meteore, di successi e scalate incredibili, di talenti, di persone che cercano di arrivare, di artisti che fanno gavetta. Pensare che tutto questo oggi non ci sia solo perché si nasconde dietro a un’app 2.0 è sbagliato. Semplicemente, Sanremo si rinnova.

Oggi la gavetta è Fulminacci che inizia a suonare al Mi Ami Festival come comparsa e nel 2019 arriva a conquistarsi la targa Tenco come “miglior Opera Prima”; è Ermal Meta che per anni ha scritto per gli altri e oggi ha un suo posto nella scena musicale; è Madame che a soli 17 anni ha portato un nuovo modo di fare rap con lo sguardo femminile; è Aiello che sbanca su Instagram con la sua “Arsenico” (il cui video è una carrellata di video social) e poi lancia una hit estiva; è La rappresentante di lista che gira i festival di tutta Italia e arriva al più importante e mainstream; è i Coma Cose che passano dal Rocket Club di Milano alla serie Netflix Summertime; è Willie Peyote che parte dalla sua Torino e duetta con Shaggy.

Ho inserito non a caso Ermal Meta per far capire che non ci possono essere distinzioni. Il tempo necessario alla fama popolare non è mai direttamente proporzionale a quello impiegato per emergere.

Nessun giudizio qualitativo

Non è questa la sede per esprimere un giudizio qualitativo sui prodotti di ognuno, né tantomeno proiettarsi al futuro. Perché saremmo ipocriti a pensare che solo questo cast non sia destinato a durare. Non che quelli precedenti lo fossero, e con “precedenti” si intendono soprattutto i pre-2000.

Prima che Baudo aggiungesse la categoria “Nuove Proposte” nel 1984, che ai tempi lanciò il popolare Eros Ramazzotti, gli esordienti finivano direttamente con i big.

Un po’ come il Mahmood del 2019, a cui non sembra essere andata così male finora. Anche lui cantava al Rocket, parlava della Milano dei pendolari e degli universitari, di quotidianità, difficoltà economiche, precarietà della vita, dissidi famigliari, emarginazione e inclusione.

L’ha reso noto un motivetto fin troppo riduttivo per descrivere la sua intera scrittura. Prima della fama firmava testi per altri. Una gavetta non da poco.

Festival di Spotify?

Quindi si, oggi per me Sanremo lo meritano più i figli di Spotify che i figli di Sanremo, vedi Annalisa, Malika Ayane e Arisa che, brave per carità, ma non scrivono e continuano a rappresentare la cifra sanremese del tradizionalismo.

Se Sanremo si rinnova, ben venga il rinnovamento, che giunge solo ora su quel palco perché fuori avviene da anni. È la kermesse a essersene accorta troppo tardi. Per questo Amadeus per il secondo anno consecutivo ha fatto un ottimo lavoro. In primis perché avvicinerà molti più giovani al festival.

E non si parla solo di teenager, ma di una fascia che va almeno dai 13 anni di chi ascolta Random e Fasma, ai 35-40 di chi segue da anni La rappresentante di lista o Lo Stato Sociale. Tra i fan dell’indie ci sono anche loro, quelli che vanno ai concerti, che ascoltano musica ogni giorno, che fanno playlist su Spotify, che sono aggiornati sulle nuove uscite. 

Sanremo si rinnova

Indie non vuol dire emarginato

Quando smetteremo di pensare che “indie” vuol dire “emarginato”, capiremo che dietro quel mondo c’è l’aspirazione di chi vuole far successo.

Di chi su Sanremo (vedi Lo Stato Sociale che nel 2012 in “Sono così indie” cantava “Sono così indie che uso la parola indie da dieci anni/e nessuno ha ancora capito che cosa vuol dire (eh)/però andiamo a Sanremo che non è una cosa molto indie“) ha sempre scherzato perché fino a poco tempo fa sapeva di non poterci mettere piede.

Ora lo possono fare sia l’indie sia il rapper e finalmente si può dare voce a ragazzi, giovani e adulti che si rispecchiano nei testi duri e crudi di Madame, in quelli spensierati del lo Stato Sociale, in quelli critici di Fulminacci, nei criptici di Gio Evan, nei cinici di Willie Peyote. Cantano le sfaccettature dell’amore, della vita, della precarietà. Forse ci voleva il Covid perché diventasse evidente agli occhi di tutti, ma là fuori c’è una generazione di giovani che ogni giorno prova le sensazioni di quei testi sulla propria pelle.

Ben venga il palco dell’Ariston per aprire gli occhi e parlarne a gran voce.

Sanremo si rinnova – “Sono così indie” dello Lo Stato Sociale

Giulia Di Leo
Giulia Di Leo
Laureata in Lettere moderne, ha frequentato la scuola di giornalismo all’Università Cattolica di Milano e oggi scrive per La Stampa e Zetatielle. Dice di sé: “ Sono una ragazza di provincia nata col sogno di scrivere, amo la mia città, Casale Monferrato, che mi ha insegnato a vivere di semplicità e bellezza, portandomi, poi, ad apprezzare la metropoli milanese che nella maturità mi ha conquistata. Non riesco a vivere senza musica: nata nel ’95, ho vissuto di riflesso gli anni delle musicassette degli 883. Mi nutro di cantautorato, pop, indie e trap per aprirmi al vecchio e al nuovo. Senza mai averne capito il perché, il giornalismo è sempre stato il sogno della vita, amo scrivere e la mia attitudine è raccontare e raccontarmi, con stile razionale e schietto. Il mio più grande desiderio è fare della mia passione un lavoro, avvicinandomi a tutti i mondi che fanno parte di me”.