Il museo dello spazzacamino. I “rusca” della Val Vigezzo.

Raspa, brischetin, riccio, squareta, caparuza, sach e bicicletta. Con questi attrezzi, gli spazzacamini, i piccoli “uomini neri”, per lo più tra i sei e i dodici anni, si guadagnano da vivere su e giù per i camini. Ore intere soffocando nella fuliggine, aggrappandosi dove si può, e salendo nelle canne fumarie con ginocchia e gomiti. Con il cibo ridotto all’osso per evitare che, ingrassando, diventando così troppo grossi per il camino, non possano più fare questo mestiere. Uno spaccato di vita che ha caratterizzato gli anni tra il Seicento e la prima metà del Novecento raccontato nel Museo dello Spazzacamino, situato in Piemonte, a Santa Maria Maggiore, nella Val Vigezzo che si apre sopra Domodossola. Non a caso spesso riportata, nelle carte geografiche del 1500, come “Valle degli Spazzacamini”.

museo dello spazzacamino visto dall'esterno
esterno del Museo dello Spazzacamino a Santa Maria Maggiore (VCO)

Lo spazzacamino della Val Vigezzo

Una tradizione, quella dei fumisti, molto consolidata nella Val Vigezzo. Da questa zona infatti, a partire dal 1500 circa, emigrano migliaia di piccoli spazzacamino (i rüsca in dialetto ossolano). Destinazione Milano o Locarno, nella vicina Svizzera. Ma anche Francia, Germania, Austria, Olanda e tutti i gelidi paesini di montagna dei dintorni. Sfruttati, malnutriti, costretti a dormire in luoghi gelidi e all’obbedienza totale per non perdere il lavoro, sono per lo più bambini e ragazzi orfani o che provengono da famiglie poverissime. Sono piccoli, molto piccoli, tra i sei e i dodici anni appunto, anche se, un decreto emanato dal governo ticinese nel 1873 , impedisce l’impiego dei minori di 14 anni quali spazzacamini. Ma, ciononostante, la pratica continuò.

Il piccolo spazzacamino del monumento di Malesco, ne è il simbolo più rappresentativo. Dedicato a Faustino Cappini, originario di Re, che, terminata la pulizia di un camino, alza le mani per dimostrare di aver portato a termine il lavoro. Sfiorando i fili dell’alta tensione il piccolo “rusca” rimane fulminato.

foto di repertorio courtesy of Museo dello spazzacamino

Ridotti come talpe

Chi scrive è stato l’ultimo del paese ad esercitare questo mestiere; solo per 2 anni, ma questi sono stati sufficienti per descrivere la vita, la sofferenza fisica di questi poveri esseri umani, ridotti come talpe ad entrare in tutti i buchi dei camini, nelle caldaie delle macchine a vapore, nelle ciminiere, mal nutriti, costretti a cercare in ogni casa un pezzo di pane per sfamarsi ed ancora mal vestiti costretti a dormire in una stalla, in un fienile o in una sosta in mezzo alla paglia. Il freddo era il peggior nemico. Come riscaldarsi se non pigiandosi l’uno contro l’altro, ricoprendosi con quei 3 o 4 sacchi che servivano per portare la fuliggine“. Così inizia la testimonianza di Goffredo Cavalli , di Calezzo, nel suo Diario di uno spazzacamino. Un uomo che, nel 1915, era un piccolo spazzacamino di otto anni.

Nessuna ricompensa

Ricordo qui che una volta gli spazzacamini non ricevevano nessuna ricompensa per pulire i camini, si accontentavano di avere la fuliggine da vendere come concime. Per questo spazzavano alla perfezione il camino e portavano via, con gran dispetto delle donne, anche la poca cenere che c’era nel focolare […]. La giacca era di fustagno, senza tasche, doveva essere fatta entrare nei pantaloni e quindi insieme legati stretti alla cintura per impedire che scendendo dai camini stretti, la giacchetta non s’arrotolasse all’insù. Un sacchetto di tela (la caparuscia) copriva la testa e veniva attorcigliato sotto il mento per resistere alla polvere; in una mano avevo la raspa, nell’altra lo scopino.

Chiusi in un buco

Nessuno può immaginare quale impressione si può avere racchiusi in un buco, tutto buio, salire a forza di gomiti e di ginocchi, dieci o venti centimetri per volta. Dapprima si doveva levare la catena e la stanga che portava la catena. Poi, per mezzo di una sedia messa nel focolare, o tramite un aiuto, si saliva nella cappa, appoggiandosi alle pareti, prive di gradini, lisce o ruvide. Ci si appoggiava (facendo forza) con la schiena, i gomiti e le ginocchia; da sospesi ci si alzava, spostando le braccia più in alto possibile e in seguito appoggiando i piedipiù in alto. Salendo, prima di muovere le gambe si puliva con la raspa sopra la testa, le 4 pareti per circa 30-40 centimetri.

Spazzacamino!

Discendendo si prendeva lo scopino e si puliva, appoggiandosi come prima. Il riccio si adoperava nei camini fatti a tubo, rotondi, dal diametro di 30-40 centimetri. Ma più il camino è stretto, più ti senti soffocare, t’arriva addosso tutta la fuliggine, anche col sacco in testa devi respirare, non puoi scendere perché sotto c’è il padrone… poi si pensa forse c’è un metro, forse anche meno, proviamo ancora… a qualche metro dalla cima si sentiva un’aria fredda, questa ci faceva fare lo sforzo. Quando s’arrivava in cima al camino bisognava gridare “spazzacamino” così i proprietari ci sorvegliavano se si era terminato di pulire tutto. Fuori da una casa, dentro all’altra, senza mangiare, così mi abituai, quasi obbligato, secondo l’usanza, a cercare un pezzo di pane in tutte le case“.

attrezzi dello spazzacamino, biciletta, divisa scarpe sacchetto
Attrezzi contenuti all’interno foto courtesy of Museo dello spazzacamino

Il museo dello spazzacamino di Santa Maria Maggiore

Situato a Santa Maria Maggiore, nel cuore dellla Val Vigezzo, il museo dello spazzacamino è, quindi, luogo della memoria di un antico mestiere che ha scritto capitoli di storia tragici e nel contempo affascinanti nella vita della Valle. Una raccolta di oggetti, attrezzi di lavoro, abiti ed immagini assieme ad un percorso interattivo, raccontano la storia degli spazzacamini-emigranti e dello sfruttamento dei piccoli “rüsca”, figure che hanno contrassegnato per secoli la vita della Valle Vigezzo.

Testimonianza di un vero e proprio esodo infantile che si protrae fino al 1940. Le poverissime condizioni economiche della Valle impongono, infatti, alle famiglie un sacrificio che non ha eguali. Un buco nero enorme nel campo dello sfruttamento minorile. Molti piccoli “rüsca”, infatti tra vessazioni, fame, fumo e freddo non fanno più ritorno a casa. Il museo dello spazzacamino si trova nel centro storico di Santa Maria Maggiore, all’interno del suggestivo parco di Villa Antonia. E’ l’unico museo in Italia dedicato a questo mestiere, e conta, ogni anno, più di 10.000 visitatori.

foto di repertorio by Museo dello spazzacamino

Il raduno internazionale

Per tutti questi motivi, da circa quarant’anni , Santa Maria Maggiore è sede del Raduno Internazionale dello Spazzacamino. Uno degli eventi più importanti del Nord Italia e che, ad oggi, raccoglie venti nazioni partecipanti. Ultime entrate  Croazia e Bulgaria, che, nell’ultimo raduno 2022, hanno partecipato con una propria delegazione di fumisti.
Germania, Svizzera, Danimarca, Svezia e Finlandia le nazioni più rappresentate.  Insomma, le vie del piccolo borgo di Santa Margherita, una volta l’anno, diventano la cornice della scenografica sfilata di centinaia di spazzacamini con i loro attrezzi da lavoro, accompagnati da gruppi in costume tradizionale e bande musicali.

Oltre mille spazzacamini, provenienti da tutto il mondo attraversano dunque il borgo divisi per nazione, e richiamando così in Valle Vigezzo oltre 30.000 visitatori e partecipanti provenienti dalle diverse regioni italiane e da ogni angolo d’Europa, dai paesi dell’Est, da Stati Uniti, Giappone e Russia. Il raduno si svolge ogni anno il primo weekend di settembre organizzato dall’Associazione Nazionale Spazzacamini con la collaborazione del Comune e della Pro Loco di Santa Maria Maggiore.

Rievocazione storica della pulitura

All’interno del raduno, di grande interesse culturale, la rievocazione storica della pulitura dei camini con l’utilizzo degli attrezzi del secolo scorso. Ecco quindi apparire la raspa: una spatola di ferro col manico ad uncino da appendere alla cintura. Poi il riccio: insieme di lamelle a raggiera ricavate dalle molle di sveglie e orologi da campanile. A ruota la squareta: bastone allungabile alla cui sommità si agganciava il riccio. E poi ancora Il brischetin, lo scopino, una lunga fune, dei pesi e il sach, il sacco per riporre la fuliggine. Mentre nell’aria riecheggia il Taròm, il gergo dello spazzacamino.

Ogni anno, dunque, una tre giorni ricca di appuntamenti tra rievocazioni storiche, canti, musiche, danze e occasioni conviviali per conoscersi e condividere la passione per “fumo e fuliggine”. Nel 2023 si celebrerà la 40esima edizione.

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Monica Col
Monica Col
Vicedirettore di Zetatielle Magazine e responsabile della sezione Arte. Un lungo passato come cronista de “Il Corriere Rivoli15" e “Luna Nuova”. Ha collaborato alla redazione del “Giornale indipendente di Pianezza", e di vari altri giornali comunali. Premiata in vari concorsi letterari come Piazza Alfieri ( 2018) e Historica ( salone del libro 2019). Cura l’ufficio stampa di Parco Commerciale Dora per la rassegna estiva .Cura dal due anni la promozione della Fondazione Carlo Bossone,. Ha curato per quattro anni l'ufficio stampa del progetto contro la violenza di genere promosso da "Rossoindelebile", e della galleria d’arte “Ambulatorio dell’Arte “. Ha curato l'ufficio stampa e comunicazione del Movimento artistico spontaneo GoArtFactory per tre anni. Ha collaborato come ufficio stampa in determinati eventi del Rotary distretto 2031. Ė Presidente dell 'Associazione di promozione sociale e culturale "Le tre Dimensioni ", che promuove l' arte , la cultura e l'informazione e formazione artistica in collaborazione con le associazioni e istituzioni del territorio. Segue la comunicazione per varie aziende Piemontesi. Dice di sé: “L’arte dello scrivere consiste nel far dimenticare al lettore che ci stiamo servendo di parole. È questo secondo me il significato vero della scrittura. Non parole, ma emozioni. Quando riesci ad arrivare al cuore dei lettori, quando scrivi degli altri ma racconti te stesso, quando racconti il mondo, quando racconti l’uomo. Quando la scrittura non è infilare una parola dietro l’altra in modo armonico, ma creare un’armonia di voci, di sensazioni, di corse attraverso i sentimenti più intensi, attraverso anche la realtà più cruda. Questo per me è il vero significato dello scrivere".